Docenti per caso La difficile arte d’insegnare

Maria

Montagono *

Intanto, una premessa: ai miei alunni suggerivo di allarmarsi se avessero percepito che non stavo più loro "col fiato sul collo". Perché avrebbe significato che non c’erano più speranze. Ecco, vorrei che i miei colleghi leggessero codeste righe con lo stesso spirito. Come quasi tutti i lavori, e come quasi tutte le cose della vita, ci ritroviamo ad insegnare quasi per puro caso. Giovincelli di belle speranze, avevamo soprattutto un sogno: frequentare l’università. E mentre ci trascinavamo tra amori e cotte più o meno importanti ed esami fatti uno ogni anno, o dieci in tre mesi, incominciavamo a sognare uno studio tutto nostro; noi, grandi professionisti che saremmo diventati. Poi, tanto per riempire l’ attesa, ci siamo iscritti anche nelle graduatorie-docenti. Così, tutti noi che sapevamo bene di matematica, o architettura, o arte, ma non di insegnamento (mai un esame di psicologia o di pedagogia), ci ritroviamo a trattare non con numeri, pareti, quadri, ponti. Ma con esseri umani, il più delle volte nel pieno delle loro turbolenze psicologiche e mentali. Per di più, ragazzi lontanissimi dai nostri figlioli, per cultura, educazione, e - soprattutto, - per numero! "Ma tanto sarà per poco, il mio futuro è altrove". E intanto passavano mesi, anni. Incominciavamo a dimenticare alcuni giudizi pesantissimi: "Se fai solo l’insegnante, sei un fallito!". Anzi, molti ambivano a tale lavoro: tutto sommato garantiva una stabilità economica che in tempi di crisi. Pian piano ci convincevamo che la nostra era una professione seria e importante. Eppure, ogni tanto sentivamo un “pizzicore“ fastidioso che parlava di frustrazione. Troppi occhi spenti vedo, e che vorrei poter rivedere brillare, fieri del lavoro che fanno. Insomma: rifondare la scuola significa rifondare l’insegnante. Ciò a cui vorrei dedicare tutte le mie rimanenti energie.

* Docente di Lettere neopensionata

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