Diritto d’autore Quando Firenze anticipò i tempi

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Cosimo

Ceccuti

Si è celebrata il 23 aprile scorso la "giornata mondiale del libro e del diritto d’autore", con una doppia valenza: la tutela degli editori dalle "contraffazioni" e il riconoscimento della proprietà del pensiero e del conseguente diritto a riceverne un remunerazione. Nel primo caso, dopo secoli di piena libertà degli amanuensi, con l’invenzione dei caratteri mobili di Gutemberg (1434) inizia il controllo delle autorità costituite per evitare la diffusione di idee "pericolose", attraverso la concessione del "privilegium" agli stampatori. In Italia le regole sul cosiddetto copyright variano in età moderna da Stato a Stato, fino ai primi accordi fra loro risalenti alla seconda metà degli anni Quaranta dell’Ottocento: clamorosa fu la causa intentata da Manzoni all’editore Felice Le Monnier, "reo" di aver pubblicato senza suo consenso I Promessi Sposi, protrattasi per vent’anni, con soddisfazione finale dello scrittore milanese. Diverso è il discorso sulla proprietà intellettuale. Nella lunga stagione del mecenatismo si scriveva per il Signore, che assicurava all’artista una lauta esistenza. Finito il sistema della vita a corte, dopo la Rivoluzione francese, insieme alla libertà di stampa, il diritto prendeva il posto della arbitraria elargizione, più o meno generosa. Firenze ancora una volta è città di avanguardia. Vieusseux fu l’antesignano: dal 1821 pagava un tanto a pagina i collaboratori della sua rivista, l’Antologia. Proprio Le Monnier, francese di origine e fiorentino di adozione applicò per la stampa dei suoi libri il sistema rigido del contratto con l’autore: acquisizione dei diritti di stampa di un’opera quale corrispettivo di un compenso contrattualmente pattuito. Con stupore Giovan Battista Niccolini si vide offrire un bel po’ di "francesconi" per la stampa delle sue "tragedie", nella prima metà dell‘800, quando fino ad allora era lui a dover pagare lo stampatore. Oggi nel nostro Paese il diritto è riconosciuto all’autore e ai suoi eredi, per settant’anni dalla morte, periodo ritenuto da taluni eccessivo. Nell’era della comunicazione globalizzata, di internet e dei social la questione è più complessa: norme calibrate sulla stampa cartacea richiedono adeguamenti per ambiti più vasti, per la proprietà e la responsabilità di quanto viene messo in rete.

Nella foto il Gabinetto Viesseaux

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