Da Spadolini a Berlusconi, da Renzi a Salvini Le cadute e le rinascite di Denis l’alchimista

Protagonista dietro le quinte della politica. L’ingresso nell’empireo del Cavaliere, il Patto del Nazareno, poi il Capitano stregato dalla figlia Francesca

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di Stefano Cecchi

Se Denis Verdini da Fivizzano (e poi Campi Bisenzio) è stato per anni l’uomo-macchina del centrodestra, il caldaista che pompava carbone nella turbolocomotiva berlusconiana, la colpa è tutta di Antonio Di Pietro.

Detta così sembrerebbe un’eresia. Eppure fu proprio l’ex magistrato, candidato nel Mugello per il centrosinistra alle suppletive del ’97, a far sì che Giuliano Ferrara si buttasse in una delle sue sfide ideali e impossibili e si catapultasse in Toscana per sfidarlo. Già, Ferrara, allora ascoltassimo consigliori di Berlusconi. Non ci volle molto a Denis Verdini, che fin lì aveva girovagato per vari partitini della galassia laico-centrista (il Pri di Spadolini, poi il Patto di Mariotto Segni) a capire che quella era l’occasione della vita, dedicandosi anima e corpo alla causa ferrariana e antidipietrista per ricevere in cambio la chiave per spalancare il sesamo del proprio Potere. Ovvero la conoscenza con Berlusconi. Bingo.

Ora: che il Cavaliere potesse innamorarsi di Denis non era poi difficile da prevedere. Uomo del fare con una moquette anti rimorsi sullo stomaco e una dedizione alla causa da subito diamantina, Verdini sembrava vivere da sempre per la politica. Non quella dei dibattiti tv o dei comizi ma quella del dietro le quinte. Denis, tessitore dell’impossibile, teorico dell’inciucio e, predestinato al punto che già quando era appena vicepresidente della Toscana, riuscì a intortare la dirigenza regionale dei Ds varando una legge elettorale dove, primo caso in Italia, furono tolte le preferenze, lasciando alle segreterie di partito il potere clamoroso di decidere in autonomia gli eletti. Non date retta a Calderoli e agli altri: il Porcellum che nel 2005 scandalizzò l’Italia aveva il suo antenato poco nobile qui in Toscana. E il suo mentore in Verdini, alchimista della politica a cui, per innegabili meriti, nel 2008 fu affidato il compito di generare l’ogm Popolo della Libertà fondendo assieme Forza Italia e Alleanza Nazionale. Dici poco. Lui come sempre ci riuscì, passando dall’annuncio gassoso del predellino al partito solido compiuto. Un trionfatore apparentemente invincibile. Che non aveva però considerato la possibilità di trovare sulla sua strada qualcuno più abile e ancor più freddamente politico di lui: ovvero Matteo Renzi.

Folgorato dall’irresistibile ascesa del Rottamatore, e considerandolo probabilmente più affine al centrodestra che non a Che Guevara, Verdini convinse Berlusconi a stipulare con Renzi quello che è passato alla storia come il ‘Patto del Nazareno’, grazie al quale centrodestra e renziani avrebbero cambiato assieme Costituzione e assetto dello Stato. Un colpo clamoroso, sulla carta. Solo che quando Renzi fece piroetta e tutto saltò con l’elezione a presidente della Repubblica di Mattarella, a saltare fu anche la fiducia di Berlusconi per Verdini. Ci pensò l’allora cerchio magico di Arcore (Giovanni Toti, Francesca Pascale, Mariarosaria Rossi e Deborah Bergamini) che stavano a Denis come l’aglio sta a Nosferatu, ad allargare irreparabilmente la frattura fra i due. L’addio al Cavaliere e la nascita di Ala sembrò l’ultimo colpo di coda di Verdini prima dell’oblio.

Ma le cronache politiche non avevano fatto i conti con ’Pastation’, il ristorante romano di proprietà della figlia di Denis, Francesca, complice dell’innamoramento per lei di Matteo Salvini. Un colpo di fulmine prepotente e adolescenziale, quello di Matteo. Con il leader leghista che, stregato dalla sua Francesca, non ha avuto remore in primavera a farsi fotografare tra i fiori di zucca nella casa del ‘suocero’ a Pian dei Giullari, rilanciando le voci che volevano Denis come il suggeritore occulto del Capitano. Una quasi resurrezione.

Adesso il nuovo colpo, con la sentenza della Cassazione e le porte del carcere che si spalancano. Avrà ancora il 70enne Denis il guizzo, la forza, la fortuna per una nuova correzione del destino o questa sarà la fine politica per lo spadoliniano che si fece berlusconiano e poi si mutò in renziano, restando comunque sempre e solidamente un verdiniano nell’anima?

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