Crisi da covid, la trattoria contro i politici: "Qui non li serviamo più"

La singolare protesta dello storico locale Burde alla periferia di Firenze: "Siamo a terra e non ci ascoltano. Per loro neanche piatti da asporto"

Paolo Gori, uno dei titolari di Burde (New Press Photo)

Paolo Gori, uno dei titolari di Burde (New Press Photo)

Firenze, 17 febbraio 2021 - «Non vedo l’ora che venga un politico a chiedermi se c’è un tavolo libero...". Il resto della frase Andrea Gori, fiorentino di scorza ruvida e concetti spicci, non l’affida certo alla libera interpretazione. "Gli dirò ’Tutto esaurito’, mi dispiace".

Trattoria Burde, via Pistoiese, Firenze. Qui, nell’ultimo braccio di città prima della Piana, in uno dei templi laici della cucina toscana refrattaria agli imbellettamenti e alle mezze misure, hanno fatto spesso capolino molte eminenze della politica locale e non – così, random: Renzi, Bersani, Giani, la Saccardi... – per addentare una bistecca docg.

«I politici hanno spesso scelto il nostro locale per organizzare incontri, anche riservati. Intendiamoci hanno sempre pagato fino all’ultimo euro ma noi li abbiamo accolti a braccia aperte e aiutati, nei limiti del possibile, a capire meglio queste zone di periferie – premette Andrea – Ora però sembra che per il mondo politico noi ristoratori si sia diventati assolutamente inutili e si possa aprire e chiudere da un giorno all’altro. E allora per quanto ci riguarda da noi i politici non mangiano più. Niente sedia al tavolo e nemmeno cibo da asporto".

Vicino a lui c’è il fratello Paolo che inquadra meglio la singolare protesta: "Non è che non vogliamo più politici da Burde per sempre. – sorride – Solo che, da buoni fiorentini quali siamo, abbiamo scelto di farci sentire anche con un pizzico di goliardia...".

La sostanza comunque non cambia: "Finché non ci ascoltano, qui non li serviamo al tavolo" sintetizza Paolo. Niente più peposo e polpettine di lesso dunque e poco cambia che il politico errante che vorrà bussare alla porta di Burde indossi la casacca della Lega o sia un dem di ferro.

«Ci sentiamo dimenticati da tutti, eppure, come gli altri ristoratori abbiamo investito per mettere in completa sicurezza i nostri locali che sono sanificati e controllati di continuo..." dicono alla trattoria prima di snocciolare qualche dato.

"Facevamo circa 50mila euro di fatturato al mese prima. Abbiamo perso l’80%. E pensate a tutte le spese, ai dipendenti, ai lavori per la messa in sicurezza di tutto...". La categoria dei ristoratori, com’è noto, sta pagando uno dei prezzi più alti per la pandemia. Centinaia di attività in Italia hanno abbassato per sempre la saracinesca, altre stanno per farlo. Il giro d’affari è crollato in media tra il 60 e il 90% in seguito all’infinita alternanza di colori e restrizioni. "Le riaperture della scorsa estate non ci sono servite a nulla – conclude Paolo – Qui i turisti non arrivano, noi lavoriamo più che altro in inverno con i dipendenti delle aziende. Stiamo perdendo tutto...".  

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