Covid e lockdown, i ragazzi soffrono: "Numeri drammatici, aumenta l'autolesionismo"

Intervista con Michele Cocchi, psicoterapeuta dell’età evolutiva. “I nostri ragazzi stanno soffrendo tantissimo questa situazione, mancano il contatto e la socialità"

Michele Cocchi (dal profilo Fb personale)

Michele Cocchi (dal profilo Fb personale)

Firenze, 20 marzo 2021 - Non votano, non accedono alla stampa mainstream, se non in casi eccezionali, spesso non parlano nemmeno in famiglia: in tutti questi mesi di pandemia i ragazzi in età adolescenziale sono stati i grandi ‘assenti’ del racconto sociale e mediatico. La politica non se ne interessa, se non in occasione di specifici casi di cronaca, i giornali nemmeno, e dunque i loro bisogni e le loro esigenze sono state sistematicamente calpestate, anche al di là delle necessità epidemiologiche.

“La fascia giovanile è tra quelle in maggiore sofferenza”, dice Michele Cocchi, pistoiese, psicoterapeuta dell’età evolutiva e scrittore. “La didattica on line, l’impossibilità di incontrarsi: per quello che vediamo noi terapeuti la situazione è abbastanza drammatica. I ragazzi stanno soffrendo moltissimo. Non solo per il distanziamento ma anche per le continue oscillazioni tra aperture e chiusure che li manda letteralmente in confusione. E poi naturalmente la Dad"

Quanto è esteso il disagio e che conseguenze determina?

"I numeri che noi stiamo verificando sono drammatici: aumentano in maniera decisa i disturbi d’ansia, l’autolesionismo, i disturbi alimentari, le fantasie suicidarie. E questo ci preoccupa molto anche perché assistiamo ad una sorta di rimozione collettiva del problema, perché al di la dei proclami della politica, ad esempio le scuole sono state le prime ad essere chiuse, e le ultime a riaprire".

La Dad non basta?

“Assolutamente no. Sono molto deluso da quello che è accaduto rispetto all’anno scorso, quando potevamo dire di essere stati colti di sorpresa. Ma vedere di nuovo le scuole chiuse, ad esempio a Pistoia che è la mia città, dal nido all’università, fa arrabbiare. Avremmo potuto usare degli strumenti, anche didattici, che esistono. Si potevano sperimentare nuovi modi di fare scuola: all’aperto ad esempio, utilizzare gli spazi della città. Viviamo in una regione dal clima mite, a parte qualche settimana di freddo si poteva fare tranquillamente. E si potrebbe fare certamente ora. Invece siamo costretti a vedere i ragazzi chiusi in casa, a marzo, aprile…E’ molto triste".

Quali saranno secondo lei le conseguenze di tutto questo?

"Le conseguenze sono a viari livelli. Sicuramente quella di perdere un elemento fondamentale della loro crescita: la socialità che sperimentano i ragazzi in questa fase della loro vita è un elemento fondante di ciò che saranno una volta diventati adulti. La virtualità certo aiuta: i social, i videogiochi è qualcosa che li può aiutare a non sentirsi del tutto isolati dal mondo. Ma la presenza fisica, l’abbraccio, è altro ovviamente. Non a caso sono spenti, abbattuti".

Cosa le raccontano i ragazzi che incontra nella sua attività?

"Che gli manca il contatto fisico, gli abbracci, lo stare insieme. Le cicatrici da questo punto di vista saranno purtroppo profonde e a lungo termine. Soprattutto per chi ha vissuto anni importanti in questa condizione".

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