Così nacque il Grande Nemico del Nord E nessuno disse più che è solo calcio

La rivalità con la Juventus esplose quel giorno. E lo slogan di allora resta vivo: "Meglio secondi che ladri"

di Stefano

Cecchi

"Ditelo con un biglietto", scrisse Giampiero Masieri su La Nazione e i fiorentini, invece che dichiarare il proprio amore con un fiore, come recitava una campagna pubblicitaria dell’epoca, lo dissero comprando diecimila biglietti di aereo o di nave per raggiungere Cagliari, dando vita all’esodo viola più grande della storia per un evento straordinario: a 90 minuti dal termine, Juventus e Fiorentina erano appaiate a pari punti in testa al campionato di serie A. Quella domenica del 16 maggio del 1982, esattamente 40 anni fa, se i viola avessero vinto in Sardegna sarebbero andati almeno a giocarsi lo spareggio per il titolo. Non andò bene, e la cosa oramai è risaputa. Ma la storia di quell’esodo a metà fra lo sport e la magia, fra il viaggio e la poesia, appartiene all’epopea migliore del mondo viola. Alla cronaca che, col tempo, diventa leggenda e che è bello raccontare ai nipoti nei pomeriggi infiniti dell’estate: "Allora, partimmo tutti con un vessillo viola in mano perché il sogno sembrava davvero a un passo ma.....".

Già, il sogno scudetto. Le partite che in quell’ultima domenica da brividi si trovarono ad affrontare Juventus e Fiorentina nel loro duello a distanza, erano diversissime. Mentre i bianconeri giocavano a Catanzaro con una squadra che non aveva problemi di classifica, il Cagliari per salvarsi aveva bisogno di un punto. Una differenza non da poco. Non solo. Sulla panchina dei sardi sedeva Paolone Carosi, l’allenatore brutalmente licenziato dalla Fiorentina l’anno precedente e l’altra guancia è roba che appartiene al vangelo, non al calcio. Lo stesso, alla vigilia la speranza di farcela era misurabile anche nella battuta che il patron viola, il conte Flavio Pontello, rilasciò ai cronisti : "Paura di Gianni Agnelli? _ disse _ Macché. Lui è solo un metalmeccanico".

La Firenze orgogliosa e un po’ sbruffona che emerge genuina, meraviglie di un calcio senza filtri e popolare. Tant’è. Quando l’arbitro Mattei alle 14 e 30 di quel 16 maggio, dette il fischio d’inizio, lo spettacolo del Sant’Elia era esaltante: 45.000 cagliaritani da una parte a spingere la squadra verso la salvezza e 10.000 fiorentini dall’altra a sognare lo scudetto. L’aria elettrica rendeva ancor più incandescenti i 35 gradi del pomeriggio isolano. Un clima da sangue e arena. Com’è finita, ahimè, lo sappiamo tutti. Una Fiorentina opaca, forse paralizzata dell’emozione non riuscì ad andare oltre lo 0-0. Fu bloccata dal Cagliari di Carosi, che non ebbe pruderie a far marcare a uomo Antognoni ("Non farlo nemmeno respirare", disse a Osellame, e lo sventurato rispose: "Ci penso io"). Ma soprattutto fu annichilita da una decisione dell’arbitro Mattei, che annullò per carica sul portiere un gol di Graziani che a noi tifosi viola ancora oggi continua a sembrare buono. Non bastasse, a Catanzaro la Juventus vinse per un gol di Brady su rigore ma anche per un altro rigore solare (gomitata di Brio a Borghi) che l’arbitro Pieri ritenne invece di non dare ai calabresi. Triste y doloroso final. Così, alle cinque della sera di quella domenica crudele di maggio, calò il sipario sul possibile scudetto viola: Juve campione, Fiorentina a casa a mani vuote. La legge di Murphy applicata al pallone, che se qualcosa può andare male lo farà ai danni dei sognatori. Diecimila cuori infranti viola si rimisero allora in viaggio da Cagliari verso Firenze, attraversando il Tirreno con dentro il dolore fresco della sconfitta e quello, indelebile, della beffa subita. Una beffa che, fra l’altro, nessuno ci riconobbe, visto che alla Rai e sui quotidiani nazionali le nostre proteste furono relegate a mo’ di folklore, negandoci persino il benestare del dubbio. "Meglio secondi che ladri", titolò allora con moderazione un giornale locale, facendo poi di quello slogan un adesivo. Quell’estate, sui motorini, sulle bici, sulle auto, lo attaccammo tutti a gridare la nostra rabbia sbracata e velleitaria ma comunque pura.

Da allora la partita di Cagliari è diventata la madre di tutte le Ingiustizie Sportive e la Juventus la contrada nemica alla quale Firenze vorrebbe dare un dispiacere ogni volta che ne capita l’occasione. Già, Firenze tutta, la città che in quel giorno dimostrò quanta riserva d’affetto ha dentro per quella squadra ritenuta un pezzo del suo skyline come il campanile di Giotto o la cupola del Brunelleschi. Firenze, che da sempre sceglie i suoi idoli non per convenienza ma per orgoglio di appartenenza. Firenze, che fra Davide e Golia starà sempre con il primo, pur sapendo che le occasioni del Debole per spuntarla col Potente sono rare, rarissime, quasi uniche. Anche per questo 40 anni dopo, il ricordo di quel giorno se possibile fa più male di allora.

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