TERESA SCARCELLA
TERESA SCARCELLA
Cronaca

Così la droga entra in cella: "Altri reclusi e familiari. È un ambiente deleterio"

Francesco Oliviero (Sappe): "La nascondono nelle parti intime. Le nuove norme europee non consentono più le ispezioni corporali". .

Una foto di repertorio di un agente di polizia penitenziaria all’ingresso del carcere di Sollicciano

Una foto di repertorio di un agente di polizia penitenziaria all’ingresso del carcere di Sollicciano

di Teresa Scarcella

La morte per overdose del detenuto di Sollicciano accende i riflettori su quello che da sempre è un segreto di Pulcinella: la droga riesce a entrare in carcere. In che modo? La domanda, che sorge spontanea, la poniamo a Francesco Oliviero, segretario regionale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria). "I canali principali sono due: i rientri dai permessi di uscita e i colloqui con i familiari. Spesso il detenuto che ha il permesso di uscire dal carcere, viene obbligato da altri a far entrare le sostanze". Ci sono gerarchie all’interno delle sezioni, anche questa è una dinamica nota... "Esiste, soprattutto in un sistema di celle aperte come c’è qui a Sollicciano. Quando ce ne accorgiamo cerchiamo di intervenire, trasferendo il ’capo’ di turno. Ma non sempre ce ne rendiamo conto. La droga può servire a uso personale, oppure come merce di scambio, per rafforzare il proprio potere". Come fanno a eludere i controlli? "La maggior parte delle volte, che siano detenuti o familiari, viene nascosta nelle parti intimi. Soprattutto da quando sono cambiate le regole per le perquisizioni". Ovvero? "Prima, quando i detenuti rientravano dai permessi, dovevano spogliarsi e sottoporsi a controlli di indumenti e corporali. La pratica era nata negli anni ’80, quando negli istituti entravano anche i coltelli. Si facevano fare le flessioni perché se avevano qualcosa di nascosto, si capiva subito dall’espressione sofferente in volto. Ora, con le nuove norme europee, queste cose non si possono più fare. I controlli sono sommari e c’è chi si limita anche più del dovuto per paura di essere accusato o etichettato. Ormai c’è paura di fare al 100% il nostro lavoro". Oltre al reato, c’è il rischio sanitario... "Il tossicodipendente è preso in carico dal Sert, quindi in cura col metadone. Se sbaglia nella quantità o se la droga è tagliata male, può rimetterci la vita. Il Sert fa un lavoro incomiabile, ma è tutto più complicato all’interno di un ’contenitore’ come questo". Si riferisce alle condizioni in cui versa Sollicciano? "La struttura è fatiscente, piove dentro, ci sono le cimici, non ci sono luoghi per l’aggregazione. I detenuti sono liberi all’interno della sezione, nei corridoi, nell’ozio totale. Non ci sono investimenti sulla formazione e su una reale rieducazione di queste persone. In pochi fanno lavoretti di manutenzione, in cucina, ma parliamo di tre ore al giorno e per il 10% della popolaziona carceraria. È una giungla, e per i soggetti fragili, come i tossicodipendenti, è un ambiente deleterio. I suicidi arrivano da queste storie". A proposito di fragilità, ci sono anche soggetti psichiatrici in carcere? "I soggetti pericolosi e violenti con gli altri, non restono dentro le Rems e vengono tenuti qui in carcere in osservazione, in una sezione a parte. Il problema è che l’assistenza psichiatrica non è h24 e il personale penitenziario non ha una preparazione adeguata". Che difficoltà riscontrate? "Lavorando in prima linea, siamo i primi a pagare le conseguenze di un’amministrazione fallimentare nei progetti educativi. Per ogni cosa, se non c’è acqua calda, se ci sono le cimici, se si annoiano, i detenuti se la prendono con noi. L’amministrazione penitenziaria da sola non ce la fa più, mancano soldi e personale. Qualcuno deve decidere che fine deve fare Sollicciano". Sulla direzione ci sono novità? "A quanto ne sappiamo, l’attuale reggente è vincitore del concorso di magistratura e a breve lascerà l’incarico. Con la sedia vacante, si perde il punto di riferimento".