Contagi 0: tre mesi in trincea

Il primo caso la notte del 25 febbraio "Ospedale stravolto in poche ore"

Segue dalla Prima

Il solo comune di Firenze era stato già Covid free il 17 maggio. Senza cedere all’entusiasmo degli stolti, che poi il sabato e la domenica si fanno meno tamponi e dunque si trovano meno positivi anche perché non si cercano, godiamoci la tregua, che non sappiamo quanto durerà.

E’ lunedì 24 febbraio – poi nella notte a cavallo col 25 ci sarà la definitiva conferma con il secondo tampone – quando a Santa Maria Nuova arriva il primo caso di coronavirus in Toscana.

Lui è un imprenditore fiorentino di 63 anni, titolare di un camping e gestore di uno stabilimento balneare sulla costa toscana: aveva chiamato il 118 che lo aveva portato dritto al pronto soccorso, dopo una settimana di sintomi sospetti. Poi, il trasferimento nella notte nel reparto di Malattie infettive, a Ponte a Niccheri. La moglie, prima di lui, aveva accusato i sintomi, assai più lievi, di un’influenza: avevano trascorso le vacanze di Natale tra Singapore e le Filippine ma l’ipotesi del contagio all’estero decade presto, quel mese e passa di incubazione, al tempo, era stato giudicato eccessivamente lungo. "Abbiamo vissuto quel giorno e quella notte con una sensazione diffusa di incredulità – racconta il direttore del pronto soccorso di Santa Maria Nuova, Michele Lanigra – Sapevamo che sarebbe potuto succedere ma si sperava che non sarebbe accaduto: tre giorni prima c’era stato il primo caso in Italia, a Codogno".

Già. Anche la Toscana, nel giro di 72 ore entra in un mondo che ancora si sperava rimanesse circoscritto alle zone rosse e isolate del Lodigiano. Invece la stragrande maggioranza dei primi casi toscani arriva proprio dall’epicentro del contagio.

"’Abbiamo un probabile positivo’. Mi dissero così quando mi chiamarono dal laboratorio, alle cinque del pomeriggio di quel 24 febbraio", racconta il professor Gian Maria Rossolini, direttore del laboratorio di Microbiologia e virologia di Careggi. "Scattarono le procedure di conferma ma iniziammo a preoccuparci perché era ormai prevedibile che il contagio si sarebbe diffuso – dice il prof – Eravamo pronti a gestire l’emergenza, ma non ad affrontare i primi problemi di comunicazione con gli altri ospedali, la penuria di reagenti, il super impegno per velocizzare i tempi di risposta". Poi il laboratorio si riempie di macchine su più linee operative che sfornano diagnosi visibili in tempo reale da tutti gli altri ospedali grazie alla piattaforma messa in piedi dalla Regione.

Ma "quei giorni e tutto quel periodo non lo potremo dimenticare mai", dice Stefano Grifoni, direttore del pronto soccorso di Careggi. Lì, in prima linea, si vive la battaglia, si sente il dolore, si legge la morte negli sguardi disperati dei pazienti al termine. Un tatuaggio nell’anima. Un marchio indelebile. Qualcosa che non si cancella più. Da quando è arrivato "quel nemico invisibile" che ha interrotto la vita, nulla è stato più come prima. "Abbiamo stravolto l’ospedale dalla sera alla mattina: sono passati tre mesi ma sembra trascorso un secolo – continua il racconto Lanigra – Da quel primo caso la normalità è finita: continuavano ad arrivare pazienti, abbiamo creato la prima sezione Covid, poi, la seconda, la terza, la quarta, praticamente Santa Maria Nuova era diventato un ospedale dedicato al coronavirus. Ora si respira, anche se l’allerta resta alta".

Il nemico invisibile e l’amico che lega la sua storia di coronavirus al primo paziente toscano. Finiscono a casa 24 operatori sanitari fra medici, infermieri e oss. Sempre in quella notte fra il 24 e il 25 febbraio. Per precauzione, dopo essere stati in contatto, al pronto soccorso e nel reparto di Osservazione breve di Careggi, con il paziente di origini brasiliane di 64 anni, risultato solo successivamente positivo al test. L’uomo vive a Firenze nello stesso stabile del centro dove abita l’imprenditore del settore turistico, il primo contagiato. Sono stati ricoverati nello stesso giorno, il 24 febbraio, ma in ospedali diversi, all’insaputa uno dell’altro. Della frequentazione fra i due e del fratto che l’amico fosse positivo si saprà solo dopo, quando il sessantaquattrenne è già entrato in contatto con molti operatori.

"Non sapevamo ancora realmente che cosa avevamo di fronte – racconta Grifoni – Ci siamo ritrovati a combattere qualcosa di infido che nel giro di pochi giorni si è manifestato nella sua mostruosità: le persone arrivavano e le loro condizioni precipitavano improvvisamente, in poche ore andavano in arresto respiratorio".

A Careggi, dall’inizio dell’emergenza, sono stati ricoverati 467 pazienti con un’età media di 68 anni: 325 sono stati dimessi in buone condizioni. A tutt’oggi sono ancora 39 i pazienti in regime di ricovero: di cui 12 in terapia intensiva. Tre mesi in guerra.

"Sapevamo molto poco sul virus e in poco tempo il numero di pazienti si è moltiplicato – racconta il direttore delle Malattie infettive di Careggi, Alessandro Bartoloni – Cominciammo a testare i protocolli: abbiamo utilizzato tutti i farmaci a disposizione secondo gli approcci diffusi a livello internazionale. Ora è in corso la valutazione della loro efficacia in base ai dati raccolti". Il nemico ancora non è vinto, lo sappiamo.

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