di Rossella Conte
Anche gli ultimi barrocciai, quelli che portano avanti l’attività di famiglia da più generazione, rischiano di rimanere schiacciati dalla crisi da coronavirus che non sta risparmiando nessuno. Sono i numeri a descrivere la portata: i mercati turistici, come quello di San Lorenzo, il Porcellino e gli ex Uffizi, sono quelli che soffrono maggiormente. Nel periodo gennaio – giugno 2020, i bancarellai del centro storico hanno registrato perdite che si aggirano intorno al 94% con picchi del 98% e con sulle spalle un numero consistente di imprese ancora chiuse. Così i mercati storici, quelli dipinti su tutte le cartoline in giro per il mondo, rischiano l’estinzione.
"Non so se riusciremo a sopravvivere, di questo passo saremo costretti a chiudere tutto". Maria Allegretti da 50 anni lavora nel mercato di San Lorenzo, lei vende foulard e sciarpe made in Italy. E’ una delle storiche che resiste e ha deciso di non cedere alle logiche del turismo di massa. "Mi fa male il cuore – riprende – pensare che tutti i sacrifici di una vita finiscano nel nulla. Non possiamo andare più avanti così: passiamo giornate intere senza battere scontrino, quando ci va bene incassiamo 30 euro che non ci bastano nemmeno a pagare i costi".
E’ dello stesso parere Vincenza Gubitosi, lei porta avanti il banco che era di suo nonno e che oggi gestisce insieme a suo figlio Paolo La Regina. Vendono marmi e gioielli fiorentini. "Abbiamo perso il 95% degli incassi – sottolinea Vincenza -. Stiamo attingendo dai risparmi di famiglia ma anche quelli non dureranno per sempre". "Stiamo rischiando di sparire tutti – va avanti Paolo La Regina -, le spese continuano a correre ma di aiuti ce ne sono arrivati veramente pochi, considerando che anche se siamo aperti è come se non lo fossimo". Per gli operatori del centro, infatti, come spiega Daniele Nardoni di Anva Confesercenti, "il turismo è la linfa vitale ed è impossibile colmare l’assenza dei visitatori internazionali con quelli italiani. Servono contributi a fondo perduto".
Al mercato del Porcellino, a due passi da piazza della Signoria, non va meglio. Anzi, se possibile anche peggio visto che non possono aprire tutte insieme le 41 postazioni ma a giorni alterni. Simone Lapis è la terza generazione, vende pelle e porta avanti il banco di famiglia. "La situazione sta diventando drammatica – le sue parole -, passiamo giornate intere a guardarci negli occhi. A parte l’azzeramento della Cosap siamo stati dimenticati da ogni forma di aiuto. Stiamo cercando di tenere duro ma possiamo reggere fino a marzo, di più no. Tra l’altro quasi tutti i proprietari che avevano dipendenti sono stati costretti a tenerli a casa". Silvia Righini, un’altra storica bancarellaia del Porcellino, racconta "dei salti mortali per andare avanti". "Non bastano però – si sfoga -, incassiamo cifre ridicole a fine giornata, venti euro se ci va bene, e tutti i costi continuano a gravare sulle nostre spalle". La sorella Letizia Righini conclude: "I turisti sono la nostra linfa. Senza aiuti sarà difficile andare avanti".
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