Città d’arte in ginocchio. E si può morire d’angoscia

Il caso di Santa Croce evidenzia le difficoltà di un modello di sviluppo. La crisi del turismo di massa esige una valutazione collettiva e politica.

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Firenze, 26 agosto 2020 - Il demone della paura di non farcela a rispettare impegni, in una città che una volta esplodeva di vita portata dal turismo, e che all’improvviso si è acquieta e quasi si spegne. E’ la sorte delle città d’arte, Firenze più di ogni altra, che avvezza a essere il centro dell’universo turistico, si ritrova improvvisamente a dovere lottare per sopravvivere, anche a causa di errori del passato, quando progressivamente si è mollata ogni forma di industria per preferire il commercio. Fu un lungo momento in cui sparirono quasi del tutto i grandi artigiani fiorentini, noti in tutto il modo: corniciai, lavoratori della pelle stampata, grandi legatori di libri artistici, per non parlare del mondo dell’editoria. Oggi, dunque, bloccato il turismo resta l’incerto. Per Freud l’incerto era motivo di sfida, d’avventura ma anche di resa per chi rifiutava la battaglia alla cieca. Firenze oggi è una grande arena abbandonata dove si continua a lottare per la sopravvivenza, ma che in questa lotta ha estremo bisogno di aiuti concreti. Quale soluzione dunque? Basta bloccare la zona blu per richiamare i fiorentini in centro? Basta il fiorire di tavolini lungo i marciapiedi? Credo davvero di no: decenni di storia ci insegnano che quelli erano punti di riferimento per turisti, mentre i residenti pian piano si erano abituati alle ‘convalli popolate di case e d’uliveti’. All’osteria di campagna che era un po’ come casa nostra. Il resto era stato lasciato alla movida, alle antiche trattorie accessibili con le auto, ai ristoranti stellati con ricette bisognose di spiegazioni ma ‘a la page’ per i più abbienti. Il coronavirus ha mietuto inesorabilmente tutto questo, basato purtroppo su una monoeconomia della quale adesso torniamo a risentire la negatività.

L’angoscia e l’incertezza del futuro spengono le illusioni di ieri e spengono in molti la voglia di fare impresa. Non sarebbe male se il governo cominciasse a pensare a un intervento finanziario che non si basi su promesse non mantenute. Certo non da solo, ma assieme all’ente locale: pensare a una seria campagna di rilancio, non fidando solo in Giotto, nel Beato Angelico o nel Masaccio, ma anche in nuove iniziative socioculturali come ne fioriscono in molte città, ma restano quasi sempre ignorate da Firenze. Non puntare come al solito su appuntamenti per vacui incontri di partito carichi di promesse, ma, come fece La Pira, troppo spesso ricordato come distratto sognatore ma in realtà dotato di una mente aperta e portata a cose intellettuali molto concrete, come ad esempio fare di Firenze la ‘città sul monte’, con appuntamenti internazionali di grande portata e soprattutto con il rilancio dell’industria - vedi Nuova Pignone - e dell’artigianato. E la Regione, dal canto suo troppo distratta da parapiglia politici, si svegli e cominci ad aver mente per quanto le concerne, a una battaglia contro l’angoscia del domani. Di Firenze, forse il concetto ci sfugge, ce n’è una sola.

 

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