Figline, chiusura della Bekaert: "Il dramma di noi operai, tra figli e mutui da pagare"

L'incognita del futuro per oltre trecento persone in Valdarno

Massimo Gostinelli (Fotocronache Germogli)

GERMOGLI PH: 20 LUGLIO 2018 FIGLINE VALDARNO MASSIMO GOSTINELLI OPERAIO LICENZIATO DAL'AZIENDA BEKAERT NELLA FOTO: MASSIMO TORNATO A CASA DOPO AVER PASSATO LA NOTTE IN OSPEDALE PER UN ATTACCO DI PANICO DOVUTO ALLO STRESS DEL LICENZIAMENTO

Figline (Firenze), 21 luglio 2018 - «Erano le otto e mezzo quando vidi il capo reparto venirmi incontro piangendo, ero montato alle 6 e pensai a una disgrazia in famiglia, invece abbracciandomi mi disse ‘Marcello ci stanno chiudendo’». Era la fine di giugno. Una pausa. L’emozione rompe le parole.

«Mi cascò il mondo addosso, cominciai a piangere anch’io e abbiamo pianto insieme per diversi minuti». Marcello Gostinelli, operaio da 35 anni nello stabilimento di Figline, prima Pirelli poi Bekaert, racconta il suo dramma, personale, familiare. E’ una storia simbolo che racchiude quelle dei suoi colleghi di lavoro, dei 318 operai della Bekaert di Figline, la multinazionale belga che d’improvviso ha annunciato di chiudere lo stabilimento nel valdarno per andare a produrre dove costa meno, fuori dall’Italia.

A distanza di un mese da quella mattina Gostinelli si commuove ancora quando ricorda quei momenti che resteranno per sempre impressi nella sua memoria, nel suo cuore: «Ho 56 anni e credo che dopo le malattie la perdita del posto di lavoro sia una delle cose più gravi che possano toccare a una persona. Sono sposato da 28 anni e ho una figlia di 20 – continua – ed è stato pensando a loro che ho trovato la forza di reagire alla notizia che mi ha sconvolto la vita. A me come agli altri amici con i quali siamo cresciuti insieme nella Pirelli, che consideriamo come una seconda famiglia, che non vogliamo in alcun modo abbandonare».

«Ci ho messo il cuore in questa fabbrica» aggiunge con lo sguardo che non trova il futuro. Ricorda il momento in cui gli arriva la telefonata dalla figlia: «Mi chiamò per chiedermi come stavo – racconta – sentivo che era incerta e la rassicurai dicendole che sapevo già tutto, quando mi disse che era arrivata la raccomandata che annunciava il licenziamento. Stai tranquilla, le dissi, risolveremo anche questo problema. Lo dicevo a lei – scandisce lentamente le parole – per convincere anche me, e forse fu proprio quello il momento della reazione, di smettere di pensare al passato per iniziare a difendere il posto di lavoro. Quindi ci ritrovammo, iniziammo l’assemblea permanente e l’organizzazione della lotta sindacale e istituzionale, alla quale peraltro credo fermamente».

La battaglia va avanti e conosce momenti di grande solidarietà. Da parte delle istituzioni anche, di tante fabbriche toscane, di famiglie e associazioni che si spendono per stare al fianco degli operai della Bekaert, perché in questi momenti sapere che c’è qualcuno con te ti dà più forza, ti sostiene nei momenti di inevitabile debolezza.

«Penso al mio dramma – continua Gostinelli – ma non posso fare a meno di pensare ai colleghi che vivono con il solo reddito della fabbrica. Rispetto a loro sono anche fortunato, perché ho la moglie che lavora e posso affrontare meglio la situazione, ma per tanti amici il dramma è anche una questione di sopravvivenza. Tanti hanno mogli e figli a carico, mutui da pagare... Sapevamo che la situazione dell’azienda non era rosea, ma una conclusione così traumatica nessuno se l’aspettava, una conclusione che ci lascia senza neppure ammortizzatori sociali, senza niente e considerando che l’età media all’interno della fabbrica è di circa 50 anni c’è da chiedersi come si possono ricollocare 318 persone nell’attuale mondo del lavoro. Comunque una cosa è certa – sottolinea – noi non usciremo dalla fabbrica, il nostro futuro è qui, non vogliamo pensare ad altre soluzioni, quelle devono trovarle i sindacati, le istituzioni, la politica. Nonostante le difficoltà presenti e future noi non molleremo di un centimetro».

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