Cene all’aperto, la Regione Toscana detta le regole

Nel caos di interpretazioni arrivano le linee guide: no ai tavolini sotto coperture fisse. I ristoratori: "Troppi cavilli, serve buonsenso"

Cene Covid

Cene Covid

di Lisa Ciardi

In attesa che si allentino le misure anti-contagio, bar e ristoranti possono per ora lavorare solo all’aperto e rispettando il coprifuoco. Ma cosa significa "all’aperto"? Da quando vige la norma, ognuno ha cercato di interpretarla a modo suo, puntando a rispettarne il principio (il ricambio d’aria per evitare il contagio), ma provando anche a trovare soluzioni per riaprire.

Così c’è anche chi ha iniziato a usare locali interni, spalancando porte e finestre. A proposito però, ieri, è arrivata una precisazione congiunta dell’assessore al Commercio della Regione, Leonardo Marras, e del presidente dell’Anci Toscana e sindaco di Prato, Matteo Biffoni: "Per ‘consumo all’aperto’ deve intendersi quello effettuato in esercizi dove i tavoli sono chiaramente posti all’aperto in spazi senza alcuna copertura o con coperture mobili, ad esempio ombrelloni o tende, eventualmente in spazi dotati di strutture esterne comunque in grado di garantire un cospicuo e continuo ricambio dell’aria, ma non certamente in ‘stanze aperte’.

Gli spazi all’aperto sono verande, dehor, terrazze, tettoie, costruite all’aperto, strutture per loro definizione e autorizzazione amovibili. Le stanze, invece, sono per definizione luoghi chiusi. Il fatto che una stanza possa avere delle finestre è del tutto ovvio, ma non basta aprire una finestra per rendere un locale idoneo a ospitare pranzi o conviviali in questo drammatico periodo contraddistinto dalla pandemia da Covid. Occorre che questo punto sia chiaro alla pubblica opinione, altrimenti si rischia di creare confusione e apprensione anche tra le autorità preposte al controllo".

Nonostante la precisazione comunque la casistica resta ampia e interpretare la norma non è sempre scontato. Per esempio esistono dehor chiusi su tre lati, ma anche locali "interni" nei quali è stata eliminata per intero la parete sulla strada e che quindi garantiscono un ricambio d’aria analogo alle verande. Sta di fatto che, proprio alla luce delle diverse situazioni esistenti, la precisazione non è piaciuta ai ristoratori. "In questo momento drammatico per le imprese – spiega il presidente vicario di Fipe Confcommercio Aldo Cursano – si va ulteriormente a cavillare sulla definizione di chiuso e aperto, mentre si dovrebbe mostrare più buonsenso verso chi, con massima attenzione per i clienti, prova a trovare delle soluzioni".

"I divieti in vigore non hanno senso – sostiene Mirco Carotti, titolare del ristorante Lorenzo de’ Medici e della pizzeria La Forca – mentre la soluzione sarebbe semplice: le autorità dovrebbero individuare un numero massimo di persone da ospitare all’aperto e al chiuso. In parallelo andrebbero vietati gli assembramenti irregolari, quelli sì rischiosi, creati da chi compra gli alcolici e poi si raduna su panchine e scalinate, senza distanze. Facendo così tutti i locali lavorerebbero e, anzi, sarebbero di supporto alle autorità nel far rispettare le regole". "Esiste un’unica soluzione – conferma Lorenzo Segre, titolare del Colle Bereto – ed è far tornare tutti a lavorare, dentro e fuori. Ci sono famiglie alla disperazione, con locali chiusi solo perché non hanno spazio all’aperto".

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