Carcere, Paolo Hendel: "La pena non consiste nel vivere in condizioni disumane"

L'attore parla della realtà penitenziaria: il 18 agosto visiterà Sollicciano insieme ai radicali e alla Camera penale. "Situazione dura per i detenuti e per chi ci lavora"

Paolo Hendel

Paolo Hendel

Firenze, 14 agosto 2017 - Si intitola significativamente "Carcere, una tortura quotidiana" la riflessione che l'attore Paolo Hendel ha scritto in vista della visita che farà al carcere di Sollicciano, il prossimo 18 agosto. Hendel sarà nel carcere fiorentino insieme a, una delegazione dell’Associazione per l’iniziativa radicale “Andrea Tamburi”, a  Rita Bernardini (presidenza del Partito Radicale, al quale lo stesso Hendel è iscritto), all’avvocato Eriberto Rosso (Camera Penale di Firenze)  al consigliere comunale fiorentino Tommaso Grassi (“Firenze a Sinistra”) e al cappellano di Sollicciano, don Vincenzo Russo

Ecco, di seguito, la riflessione di Hendel

Carcere, una tortura quotidiana

Alla voce “carcere” leggo sul vocabolario: “Stabilimento in cui vengono scontate le pene detentive (Zanichelli)”, “Luogo in cui vengono rinchiuse le persone private della libertà personale per ordine dell’autorità competente (Devoto-Oli)”, “Luogo dove vengono reclusi individui privati della libertà personale in quanto riconosciuti colpevoli di reati per i quali sia prevista una pena detentiva (Wikipedia)”. La pena quindi consiste nella privazione della libertà. Le sentenze di condanna non dicono: “Caro signore, ti riteniamo colpevole e perciò ti condanniamo a vivere per tot anni chiuso in una cella umida e sovraffollata, in condizioni igieniche disumane, con temperature estive da forno, con impianti elettrici malfunzionanti e magari con qualche bel crollo strutturale dell’edificio di tanto in tanto, il tutto con pochissima attenzione per la tua salute che tanto peggio stai e meglio è, così impari!”

L’anno scorso a Sollicciano tre detenuti si sono tolti la vita. Oggi nel carcere ci sono circa 680 detenuti mentre la capienza regolamentare sarebbe di 494. Se vado in giro in macchina e mi porto dietro moglie, figlia, i miei due fratelli, la mamma anziana e la badante col marito e il cane, superando il limite massimo di 5 persone, prima o poi un vigile mi ferma e come minimo mi fa una bella multa. Nelle nostre carceri italiane il soprannumero è la norma seppure illegale. Ed è dura anche per chi ci lavora. Per gli operatori (rieducatori, volontari...) e per gli agenti di Polizia Penitenziaria. Il corpo di Polizia Penitenziaria a Sollicciano è sottodimensionato (485 agenti sui 696 previsti dal regolamento).

E’ incredibile che proprio in carcere, giorno dopo giorno, si infranga sistematicamente la legge e che sia lo Stato a farlo! Quindi la pena non è “solo” la privazione della libertà. C’è una terribile pena aggiuntiva che diventa tortura quotidiana. Come si possono realizzare percorsi riabilitativi in condizioni del genere, per non parlare dei complicati meccanismi burocratici e amministrativi che già di per sé rendono le cose difficili? Tralasciando i casi, che pure esistono, di innocenti finiti in galera per errori giudiziari e rimandando ad altra occasione una riflessione sul carcere come “discarica sociale”, destino che troppo spesso incombe su coloro che sono emarginati e senza prospettive, credo che evitare il terribile sovrappiù di disagi, sofferenze e umiliazioni aiuterebbe i detenuti a sentirsi ancora donne e uomini con una prospettiva di vita dignitosa davanti nel non facile cammino di un auspicabile reinserimento sociale.

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