E’ il campione di tutti, la luce di Firenze da almeno cinquant’anni: domani ne compie 70, di anni. I primi 20 li ha spesi nei campi dei dilettanti tra l’Umbria e il Piemonte, poi è apparso a Firenze con suo ciuffo biondo, l’animo buono e un’innata eleganza nello stare in campo. Tecnica top, postura eretta da atleta dei quattrocento metri, ha fatto la storia della Fiorentina e la città lo ha ripagato con un amore infinito. Ancora di più quando la sfortuna si è abbattuta sulla sua vita sportiva, con due incidenti micidiali (uno col Genoa gli causò varie fratture alla testa nel 1981, l’altra nel 1984 la rottura di tibia e perone contro la Sampdoria). E quando, tanti anni dopo, gli venne chiesto in maniera incauta cosa aveva dato lui alla Fiorentina, la risposta fu scontata: la vita. Antognoni e Firenze, l’amore c’è anche oggi, in ogni angolo. Più turbolento il rapporto con la Fiorentina, soprattutto negli ultimi anni. Dopo la fine della carriera Antognoni aveva trovato la sua collocazione in società con Cecchi Gori, fino a diventarne direttore generale. Già che c’era, una breve e sfortunata esperienza in panchina assieme a Luciano Chiarugi nell’anno della retrocessione in serie B, il 1993.
Antognoni visionava i giocatori, aveva l’occhio affinato di chi ha giocato a pallone a livelli altissimi e si sbagliava di rado se scommetteva su un giovane. Dopo le dimissioni di Terim in panchina (2001) la coscienza gli consigliò di dire addio alla Fiorentina. Un dolore atroce. Nel 2005 era capo degli osservatori della Nazionale, a Coverciano si trovava bene, ma il cuore era altrove, a poche centinaia di metri in linea d’aria, il “Franchi“, il suo stadio. Nel 2017 tornò alla Fiorentina con i Della Valle e ha vissuto i primi anni di Commisso. Anche qui è finita male, mentre Firenze lo ama come il primo giorno. E’ lo scudetto della vita.