Alla ricerca delle merende perdute Gaia Nanni e il sapore della villeggiatura

L’attrice racconta le sue vacanze di bambina durante le estati a Lido di Camaiore. I giochi di spiaggia e l’attitudine alla recitazione

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di Titti Giuliani Foti

"La mia estate era talmente lunghissima, da sembrare a tratti anche noiosa, se Dio vuole. Come dovrebbero essere le estati dei bambini. Appena finita la scuola si partiva senza aspettarci sorprese, ogni anno da Firenze, verso la casa del babbo a Lido di Camaiore. E lì restavamo finchè non riaprivano le scuole". Gaia Nanni e i ricordi sonnacchiosi di estati passate: "E’ stato bello esserci e viverle così, sentire il cambiamento di respiro, dalla città al mare e la sensazione della sabbia sotto i piedi, e io scalza sulla spiaggia".

Da Ozpetek, a Pedullà, poi anche Morganti e Frazzi: e recentemente l’ha rivoluta nel suo ultimo film anche Pieraccioni. E’ fiorentina Gaia Nanni, classe 1981, che ha ricevuto nel 2013 la candidatura ai Premi Ubu come migliore attrice. Il palcoscenico è una calamita per lei che le riesce più di qualsiasi altra immaginabile attività. Togliendo ovviamente il suo ruolo di mamma amorevole – e imprevedibile – di due gemelli scatenati, Giulio e Dario. Capelli neri, occhi vellutati scuri e profondi, il sorriso contagioso: ritratto di una donna sensibile che forse proprio in scena sente l’ansia regredire. E riesce a fare pace con il tempo che resta e con quello che ha vissuto. Nel suo curriculum c’è un diploma di attrice e un liceo linguistico, frequentato misteriosamente alle scuole serali. Infine una laurea col massimo dei voti in Scienze politiche. Una strada che l’ha portata verso il teatro, tanto da diventare la sua attività principale.

Gaia se le dico la parola villeggiatura cosa mi risponde?

"Avevo pochi mesi, ma da allora, fino ai 16 anni ogni estate l’ho passata lì, nel nostro giardino pieno di pitosforo a fare colazione con caffellatte e schiacciata salata di Lido di Camaiore. La mamma che mi portava nei negozietti intorno a casa dove c’era un commerciante familiarmente detto il Ladrone, per la schiacciata: e c’era anche l’ortolano, per frutta e verdura a peso d’oro. La mamma che mi faceva sentire grande: “Vammi a prendere due pesche da Cartier”. Per non spendere, ci facevamo bastare quel che avevamo".

Gaia bambina e la spiaggia.

"Obbligavo mia madre ad assistere alle mie esibizioni di nuoto sincronizzato inventate da me. Facevo tuffi e balletti improbabili in acqua, su e giù tra le onde fino a scomparire e poi riapparire come una piccola orca, ridendo: mi pareva che tutti mi guardassero, e mi sentivo tanto la Lorella Cuccarini della Versilia. Con le mani appiccicate a sogliola mi immergevo e risalivo dalle onde con un “mamma hai visto? Hai visto cosa sono riuscira a fare”?".

E lei?

"Dalla riva osservava e sorrideva. Ancora oggi sono sicura che non avesse visto tutto tutto, ma il suo farmelo credere era molto importante per me".

I riti della villeggiatura avevano orari?

"Alle 16 scattava l’ora dei bomboloni del bar Cristallo che oltre a quel ben di Dio fritto aveva anche un mitico juke box dove risuonavano le canzoni del mio adorato Raf. A mangiare bomboloni trovavo anche i primi ragazzi grandi che piacevano tanto a me. Ma che, invece, guardavano la mamma".

Che bambina è stata?

"Una che attaccava bottone con chiunque, al limite della molestia: sulla spiaggia mi conoscevano tutti. Parlavo di continuo, con le signore, con i bambini. Ma anche ai giardini non mi facevo scappare nessuno. E se c’era da tirare un calcio al pallone, lo facevo volentieri".

Villeggiatura: il gioco preferito?

"Ero specializzata in finte televendite: prendevo il fustino di cartone del detersivo e il tappo diventava il banco del battitore. Mettevo all’asta le presine, i canovacci, le posate, i secchielli e le palette: tutto quello che avevo sotto mano. E parlavo, parlavo, raccontavo la storia di questi oggetti inventandola di sana pianta".

Rimpianti giocosi?

"Quei divertenti i tornei di briscola ma soprattutto la gara con le palline con le facce dei ciclisti. Mia madre usava il mio sedere per fare la pista e sfidarsi con le bilie"

Estate, tempo di parenti?

"Con mamma spesso decidevamo di raggiungere a piedi il bagno dello zio, dove trovavo i miei cugini: Lorenzo, che era secco allampanato al quale mangiavo ogni cosa gli cadesse o avanzasse dalle sue merende. Poi c’era Caterina e Olga dalla quale, a detta delle donne di famiglia, avrei dovuto imparare tutto, ma dalla quale non ho imparato niente".

Altro classico estivo?

"La “gabina“ telefonica, con la gi. La mia mamma l’ha sempre chiamata così, compresa quella al mare dove cambiarsi i costumi pieni di sabbia. La gabina, non la cabina. “Vai che ci sono poche persone, vai a chiamare il babbo”. Il babbo restava in città a lavorare e arrivava il sabato con la sua Renault 5: vedo come fosse ora la fila che dovevamo fare per chiamarlo da questo posto pubblico, tra tanti nonni, parenti, altri bambini e mani piene di gettoni. Mani che poi odoravano di ferro per ore".

Il signor Nanni-padre che faceva?

"Vietato parlare con lui quando caricava la macchina per portarci in villeggiatura. E quando tutto era pronto io stavo sdraiata come un’acciuga tra i sedili dietro. Nessun seggiolino nè cinture di sicurezza, nè portaborraccia o caschetto. L’unico sistema salvavita consentito erano i lenzuolini che il babbo incastrava nei finestrini per farmi ombra".

Tutto qui? Tanto qui.

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