Firenze, 22 gennaio 2013 - "Dopo la morte di Luca Raso, nell’estate del 2006, lei non fa due cose che invece farà nel 2008 dopo l’incidente di Veronica Locatelli: non chiude il Forte Belvedere e non apre un’indagine amministrativa. Perché? Eppure l’unica differenza era, di fatto, un guardiano in più all’interno".

L’avvocato Valerio Valignani, uno dei legali di parte civile, pone la famigerata domanda da un milione di dollari all’ex sindaco Leonardo Domenici, che per due ore ha ieri deposto al processo che lo vede imputato di concorso in omicidio colposo (con l’ex direttore della direzione cultura Giuseppe Gherpelli, il perito Ulderigo Frusi, la presidente della Cooperativa Archeologia Susanna Bianchi, gli incaricati al controllo Daniele Gardenti e Monica Zanchi) per la morte di Veronica. Sono state due ore difficili per l’attuale europarlamentare del Pd, che ha però ribadito con forza di aver fatto il suo dovere istituzionale e, sostanzialmente, di essersi fidato dei pareri dei suoi tecnici.

La differenza di comportamento successiva alle due tragedie l’ha spiegata così: "Il primo incidente avvenne alla vigilia della chiusura programmata del Forte, per questo non lo chiusi. Poi ebbi informazioni sulla dinamica che davano un certo tipo di interpretazione: nel caso di Raso l’incidente fu attribuito a un comportamente particolare della vittima: fu riferito, in un primo momento, che aveva fatto un salto; il secondo episodio fu diverso, in quell’occasione sembrava che il problema principale fosse l’illuminazione insufficiente.
Non notai analogie fra i due incidenti, sembravano diversi". Domenici, insomma, decise di non chiudere il Forte nel 2006 "perché, sulla base delle informazioni che avevo, la struttura era in sicurezza".

Cosa fu fatto dunque?, lo hanno incalzato prima il giudice Francesco Maradei e poi il pm Concetta Gintoli. "Riguardo all’ipotesi degli interventi strutturali, barriere o inferriate sui parapetti, mi fu sempre riferito di un ostacolo: cioè la contrarietà della Soprintendenza. Così fu confermato l’approccio precedente, ossia no a interventi di tipo strutturale ma un’intensificazione della sicurezza attiva e dinamica: più sorveglianza, barriere mobili o indicazioni più appropriate. Il suggerimento che venne fu di confermare quel modello di sicurezza dinamica".

E l’ipotesi di chiuderlo almeno di notte? "No, pensammo che fosse sufficiente fare in quel modo".Ma alla fine, ha sottolineato Maradei, si è scoperto il pericolo di un’eccessiva vicinanza fra il terrapieno e il parapetto e il primo è stato abbassato: "L’uovo di Colombo" l’ha definito il giudice. Perché non pensarci subito? "Bella domanda - ha sorriso amaro Domenici -. Presi atto che non si potevano mettere le inferriate e mi fu presentato un piano di sicurezza dinamica che si pensava fosse sufficiente".

di Gigi Paoli