Firenze, 15 luglio 2012  - «VEDETE — usava dire Renzo Rontini ai giornalisti — per tenere viva la memoria occorre avere dei luoghi che ne ricordino la tragedia, ma quando morirò io nessuno avrà cura di ciò, tutto finirà disperso nel nulla...». Guardi le piccole croci di legno corrose dal tempo, osservi le erbacce invadere questo piccolo sacrario artigianale fino quasi a coprirlo, un divano sfondato poco vicino, e capisci come il vecchio Rontini avesse ragione.

LA GRANDE tragedia nera che è stata il Mostro di Firenze rischia di finire come dispersa nel nulla. Senza punti di riferimento, luoghi dove farsi un segno dello croce a ricordare quei morti innocenti. Un viaggio sui luoghi dove l’assassino colpì fra il settembre del 1974 e il settembre 1985 è oggi una sorta di transfert nel niente. A rimandare a quelle 14 vite spazzate via dalla follia, 37 anni dopo restano solo due piccole croci nel Mugello e un cippo nella campagna di Calenzano. Per il resto, niente. Nessun altro segno, come se quel dolore immenso e popolare non fosse mai esistito.

Nella piazzola appena fuori Ponte a Vicchio, come detto, il bosco sta andando a ricoprire il piccolo cenotafio che babbo Rontini volle realizzare sul luogo dove la Bestia massacrò la sua Pia e Claudio Stefanacci, il fidanzatino. Lui studente di 21 anni, lei un po’ più giovane, 18 anni, lavorava come barista e nel tempo libero faceva la majorette, entrambi convinti che il Male non potesse niente sul loro amore pulito e forte come la gioventù. Che errore. Da quando babbo Rontini è morto, 14 anni fa, nessuno si prende più cura del luogo. Davanti alle croci qualcuno ha sistemato delle rose di plastica e un lumino da cimitero. Segni di una pietà antica che non può comunque resistere ancora per molto alle stagioni.

POCO PIÙ in là, a Sagginale, niente invece ricorda Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini. Lei aveva 18 anni, lui 19 e il loro amore primaverile li condusse una sera su un tratturo a poco passi dalla strada per Rabatta. Era una sera del 1974 e Pasquale si era fatto prestare dal padre l’auto, una 127. Aveva l’autoradio e i sedili ribaltabili e tanto allora bastava per sognare. Li ritrovò un contadino della zona il mattino dopo. Massacrati. E lei violentata con un tralcio di vite. Qualcuno mise allora un cippo sul luogo, oggi tutto è scomparso, recintato da un cantiere, e niente rimanda al loro martirio di ragazzi semplici e innamorati. Innamorati come lo erano anche Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, inseparabili fin da ragazzini al punto che gli amici li chiamavano Vinavil.
 

LA SERA CHE li avrebbero uccisi a Cerbaia c’era una festa. «Andiamo lì a fare una giratina», dissero. Invece si appartarono nella 147 di lui in una piazzola sulla strada che porta a Baccaiano. Oggi niente ricorda quel delitto, nessun cippo sulla via Virginio nuova, nessuna croce per deporre una rosa, inviare una preghiera.
Susanna Cambi e Stefano Baldi di anni ne avevano qualcuno in più, 26 lui, 24 lei. Ma si volevano lo stesso amore pulito e sincero che, come un filo rosso, tiene unite quasi tutte le vittime del Mostro. Come se la Bestia avesse voluto cibarsi solo di amore puro e popolare: mai una macchina di lusso sulla scena del delitto, mai una vittima nell’alta società. Tant’è.

La sera che il killer li massacrò, Stefano aveva detto agli amici che aveva un impegno e che dunque non sarebbe andato a giocare a calcetto, Stefania che sarebbe andata al cinema. Invece scelsero di sognare insieme dentro la Golf di lui, in un campo dalle parti di Travalle. I familiari hanno voluto però che il luogo dove i loro sogni si interruppero fosse ricordato. Un cippo coi loro nomi sta ancora lì. Con il frinire prepotente delle cicale che, come una ninna nanna, sembra cullare il loro sonno eterno di ragazzi innamorati. Ma è solo un caso.

NIENTE RICORDA infatti in via di Giogoli i due ragazzi tedeschi massacrati nel furgone Wolksvagen. E niente, qualche chilometro oltre, in un piazzola dalle parti di Mosciano, ricorda neppure Carmela de Nuccio e Giovanni Foggi. Lei, arrivata dalla Puglia, in quel giugno del 1981 aveva 21 anni e faceva la pellettiera; lui 30 anni, era dipendente Enel. Stavano insieme solo da sei mesi eppure avevano già deciso di sposarsi. Il che non evitava loro qualche lite per quel fenomeno naturale che si chiama gelosia. Era successo anche quella settimana e lui, per far pace, quel sabato sera l’aveva portata con la sua Ritmo in quel campo maledetto. Il destino a volte è più crudele del mancato perdono.

MA LA COSA che forse più colpisce in questo viaggio nella memoria è far tappa nella piazzola degli Scopeti. Qui il Mostro colpì per l’ultima volta nel settembre del 1985, portandosi via due turisti francesi, Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili. Dove c’era la tenda che fece da primo sudario al corpo di Nadine, oggi non ci sono lapidi ma una piccola discarica con lamiere di eternit e cartacce. E cartacce e rifiuti ci sono anche poco più in là, dove la Bestia sgozzò Jean-Michel che aveva provato a sfuggire al suo destino. Così, a ricordare quel massacro, resta oggi solo una piccola croce che qualcuno ha disegnato a mano su un cartello dove si invita a rispettare l’ambiente. Una pietà artigianale. Come se davvero la memoria fosse un contrattempo. Come se il tempo fosse più forte della morte.

Stefano Cecchi