Firenze, 15 aprile 2011 - «DI QUELLE dieci persone che, in qualche modo, erano sulla scena del delitto, io sono rimasto l’unico testimone e a 67 anni di distanza ricordo tutto come se fosse oggi». Guido Bellesi, classe 1926, fiorentino purosangue, era con gli amici al bar all’angolo di viale Righi in quel pomeriggio del 15 aprile 1944, quando un commando partigiano tese un agguato al filosofo Giovanni Gentile al Salviatino, davanti a Villa Montalto. Lui e i suoi due amici aspettavano che aprisse il bar, ancora ignari di essere sul punto di diventare testimoni della storia. A scovare l’ultimo testimone dell’omicidio Gentile è stato l’avvocato pratese Francesco Mandarano, appassionato di storia e “cacciatore” di storie partigiane, autore del libro “Dalla parte di Bruno Fanciullacci” che prende le difese del comandante del commando dei “Gap” (Gruppi di azione partigiana) che assassinò Gentile, filosofo e accademico d’Italia legato al regime fascista. Finora Bellesi non aveva parlato, ma proprio durante la presentazione del suo libro l’avvocato Mandarano è stato contattato dal figlio del testimone di allora e così ecco la decisione di raccontare come andò. «Tutti i giorni andavamo al bar dopo pranzo. Verso le 14.30 (per le fonti storiche l’ora esatta sarebbe intorno alle 13.30, ndr) vediamo arrivare un’auto di lusso guidata da un autista e con un distinto signore con la barba bianca nel sedile posteriore».

 

Il distinto signore è Giovanni Gentile. «Non sapevamo chi fosse, lo vedevamo tutti i giorni passare da lì, veniva da viale Righi per andare a Villa Montalto», racconta Bellesi. Quel giorno, però, qualche minuto prima erano arrivati (da viale Ojetti) anche quattro ciclisti. «Andavano piano, distanti l’uno dall’altro, come se perdessero tempo e non fossero insieme — ricorda Bellesi — ed erano molto diversi. Rimasi colpito dal primo che era vestito elegantemente, come per andare a ballare, mentre l’ultimo era vestito male, tutto polveroso con una bici scassata». Il primo, il “damerino”, è proprio Fanciullacci. Nel ricordo di Bellesi il quartetto imbocca il piccolo ponte sull’Affrico (più o meno dove ora c’è la rotonda del Salviatino) e poi si dirige verso Villa Montalto, dove da lì a poco arriva anche l’auto di Gentile. «Lì, li ho persi di vista — dice Bellesi— e sono passati pochi minuti prima di sentire gli spari». A quel punto Bellesi e i suoi amici si alzano, cercano di capire cosa è successo e si dirigono verso il ponte sull’Affrico, ma subito incrociano i ciclisti in fuga e corrono il rischio di passare da testimoni a vittime.

 

«Mi è passato accanto proprio Fanciullacci, ha rallentato e ha messo la mano in tasca, penso che avesse paura di un mio intervento, che volessi fermarlo e che stesse per tirare fuori la pistola. Poi mi è passato dietro e ha tirato dritto». I tre ragazzi corrono verso la villa, incrociano l’auto di Gentile che va a tutta velocità verso l’ospedale di Careggi: «Ricordo che l’autista era alla guida, il fattore della villa, era seduto dietro e reggeva il capo di Gentile. Lui sembrava ancora in vita». Gentile muore poco dopo a Careggi, mentre i ragazzi e una folla di curiosi si riuniscono accanto ai frammenti dei vetri dell’auto, proprio davanti al cancello della villa. «Non sapevo chi fosse, ma quando ho capito il suo ruolo nel fascismo ho pensato che avevano fatto bene, che avevano fatto un capolavoro» dice Bellesi, famiglia antifascista segnata dalla guerra, con un fratello morto e un altro prigioniero.

 

In quel clima non era facile nutrire sentimenti di pace: qualche giorno prima, il 22 marzo del 1944, erano stati fucilati dai fascisti a Campo di Marte cinque giovani di Vicchio. «Da casa mia ho sentito gli spari, ricordo bene quel giorno...» dice Bellesi. Ancora oggi Bellesi continua a giudicare giusta l’azione dei Gap (allora ci fu la contrarietà del Comitato di liberazione nazionale, ad eccezione del Partito comunista). «L’esecuzione del filosofo Gentile è stato un atto di guerra perché è avvenuto durante la seconda guerra mondiale per mano di partigiani e in danno di un esponente di primissimo piano della Repubblica sociale — dice Mandarano— Gentile ha pagato soprattutto perché dopo il 25 luglio 1943 si era schierato con Hitler e Mussolini contro il popolo italiano che voleva la pace».