Firenze, 12 luglio 2010 - Carne e spezie. Gusti forti come cazzotti. E il profumo ruvido e acceso dell’Oriente nelle vecchie strade fiorentine. Gli odori, brucianti e sconosciuti, dei kebab sbucarono per la prima volta nella zona di via Faenza e all’arco di San Pierino, che già era, ed è rimasto, l’avamposto esotico del centro-salotto. Era l’alba degli anni ’90.

 

La Firenze del brodo, dei crostini e della bistecca rispose diffidente. Come sempre, dopotutto. Oggi lo è molto meno, ma è altrettanto polemica. Perché in città i negozi di kebab sono spuntati dappertutto, anche in periferia. Un’invasione. Sono accanto al macellaio di fiducia, dietro il cinema, davanti al forno. Fanno parte, volente o nolente, del tessuto cittadino. Così il kebab i ragazzi se lo “fanno” dopo il calcetto, gli impiegati, con il tovagliolo di carta sulla cravatta, ci pranzano e il venditore arabo che taglia la carne magari scambia anche due battute su Gilardino.

 

Potenza dei tempi che cambiano: ora in centro ci sono più “spiedi verticali” che pentole di lampredotto. Per qualcuno è la fotografia della decadenza, con la d maiuscola, di una Firenze senza spina dorsale e orfana di memoria, che rotola su se stessa e perde un pezzo di identità ogni quarto d’ora svendendo fondi e lasciando che ogni strada diventi uguale a quella accanto. Per altri è invece un passo avanti verso le altre culture, è il trionfo del melting-pot sullo snobismo toscano, dell’apertura agli altri sul provincialismo esasperato. Chi ha ragione? La questione è soggettiva.

 

Certo è che il fenomeno ha dimensioni impressionanti. Nel 2000 i negozi di kebab a Firenze erano solo quattro. Oggi sono 49. Negli ultimi dieci anni sono cresciuti a una media di 3-4 unità l’anno con punte di nove (nel 2007) e dieci (nel 2005). Intorno alla stazione centrale c’è un’attività ogni cento metri, via Palazzuolo sembra un sobborgo di Algeri, così come via Faenza e come tutta l’area del mercato. Uno spiedo dietro l’altro anche sull’asse della movida via dei Benci-via Verdi, in tutta la zona di Santa Croce, in via de’ Neri e in Oltrarno. C’è il kebab anche al Ponte al pino, ce n’è uno in viale Giannotti a Gavinana, ci sono all’Isolotto, a San Jacopino e da Novoli in poi è un’altra invasione.

 

Le forme giuridiche? Sono le più svariate. Secondo la Cna undici sono imprese individuali, 21 società di nome collettivo, 15 in accomandita semplice, una è società di capitale e una a responsabilità limitata.

 

Sono tutti negozi, dal primo all’ultimo, gestiti da stranieri. Stanno aperti dalle sette del mattino fino a mezzanotte d’inverno, ma d’estate possono tenere la saracinesca alzata fino alle una. Con kebab e polpette vendono pure gli alcolici. E questa cosa, per qualcuno, è una bella grana. Perché al negozio di kebab la birra costa almeno la metà rispetto ad un locale notturno ed è chiaro che decine di ragazzini fanno scorta e poi si ubriacano per strada senza tanti problemi e senza il rischio di incrociare lo sguardo di un barman sospettoso sull’età del cliente.