Nell'emergenza la città diventa un'isola

Il nostro tempo di "guerra" e il 25 aprile con la lezione di Margherita Guidacci

Firenze, 25 aprile 2020 - Nel tempo del Coronavirus le unità di misura a cui, prima e nella media, ci eravamo abituati per decifrare il nostro tempo e lo spazio che attraversiamo nella città, nei paesi, nei luoghi in cui viviamo – spesso rinunciando anche al discernimento, perché richiamati alla prossima cosa dalla logica frenetica del next – sono state accantonate per necessità.

Le città, anche le più grandi, sono diventate come delle isole e, all'interno di esse o alle loro porte, abbiamo scoperte altre “municipalità” come le carceri o gli istituti, chiamiamoli così, nel modo giusto e originario, in cui sono scomparsi tanti anziani e, tra di loro, non pochi di quelli che hanno aiutato la nostra Liberazione.

Chiudiamoli gli istituti e riconvertiamo le macchine che presiedono alla loro conduzione in un'unità di assistenza domiciliare. Dare un senso al tempo è darlo alla vita. “Il tempo non ha sempre lo stesso valore. Né la stessa durata. E non ha nemmeno una vera continuità”, scrisse la poetessa Margherita Guidacci (Firenze 1921 - Roma 1992), di cui il prossimo anno ricorrerà il centenario dalla nascita, in un articolo pubblicato nell'agosto 1945, quando aveva 24 anni, con lo pseudonimo Andrea Luti, su "Rassegna" (rivista culturale appena nata a Firenze) rievocando l'esperienza del passaggio della guerra.

La studiosa Anna Maria Tamburini ha rinvenuto e pubblicato queste pagine nel suo prezioso 'Margherita Guidacci. La poesia nella vita (Aracne, 2019), frutto di dieci anni di ricerche.

Anche questo nostro tempo è stato definito di guerra, certo con caratteristiche diverse da quella combattuta con le armi ma con un numero di vittime provocato dal virus e assecondato ad alcune latitudini da una cultura che non sa amare gli anziani. La riflessione di Guidacci, che ha alle spalle il ricordo dell'agosto del '44 a Firenze, aiuta e allarga lo sguardo: “Il tempo diviso in unità uguali e che ugualmente si succedono, esattamente commensurabili in se stesse e nel loro ritmo, è un'astrazione come lo spazio della geometria. Il tempo reale, come lo spazio reale, è vario, fatto di acque e di isole, di rialzi e di avvallamenti, discontinuo.

E se ai giorni dello scorso agosto non riusciamo a riportarci che in maniera scialba, se non riusciamo a rivivere, e sotto certi aspetti nemmeno a comprendere, a ricostruire nei dati elementari la vita di allora, è perché allora vivemmo realmente in un'isola del tempo, in una «durata» che non è quella attuale, ed a cui nessuna continuità ci rilega, poiché ce ne distaccammo violentemente, per una frattura”.

Lei guarda al passato, noi siamo ancora immersi nella stagione dell'epidemia eppure, giustamente, ricordiamo con il 25 aprile il debito verso la Liberazione dai lunghi anni di guerra e di dittatura. Oggi, “volgendoci indietro, non sappiamo noi stessi dire con precisione cosa e come accadde: e se non fosse per un oscuro tumulto del sangue saremmo, di fronte a quel tempo, come i maravigliati abitanti di un altro pianeta, o lo guarderemmo già con gli occhi innocenti dei posteri.

Firenze - o meglio i suoi successivi spicchi - fu allora anche materialmente simile ad un'isola: un grande asilo di naufraghi in attesa che qualche nave finalmente li raccogliesse. Ma questo non è che un paragone, più o meno retorico, e l'altro, l'isolamento nel tempo, è invece un fatto vero e sostanziale, e in quelle circostanze, tragico”.

Guidacci elenca con precisione gli aspetti materiali degli effetti di guerra, per poi affermare che “l'intelligenza non può ricostruire ciò che non rientra nel suo dominio. Gli eventi che vivemmo sfuggivano ad una classificazione umana. E sfuggono ora alla memoria, ne traboccano, come traboccavano allora dalle nostre capacità di giudizio.

Più che traversarli, ne fummo traversati: essi fluirono e rifluirono attraverso tutto il nostro essere - ne eravamo invasi, sommersi, circondati; e quello che potevamo contenere in noi era sempre un nulla in confronto a quello che rimaneva fuori e ci conteneva”. L'emergenza fu allora un'isola e lo è anche ora, ma abbiamo strumenti e condizioni per non essere umanamente isole e per rifondare le nostre città quando potremo riappropriarcene pienamente. Michele Brancale  

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