{{IMG_SX}}Firenze, 4 giugno 2008 - L’uomo che volle farsi Silvio è a Regina Coeli. È passato dai fianchi di Naomi Campbell e Maria Grazia Cucinotta nella tribuna d’onore dell’'Artemio Franchi' ai fianchi, meno rotondi e gradevoli, dei finanzieri che ieri lo hanno caricato e portato in carcere. Triste e vertiginosa è la parabola di Vittorio Cecchi Gori. Poteva godersi l’impero che il padre Mario gli aveva lasciato e invece ha fulminato la sua vita e il suo gruppo nel cercare di restare in scia a Berlusconi. Il suo mito inconfessato, la sua pietra di paragone. Forse la sua ossessione. Anche per l’altezza. "Sono uno e sessantasette come lui, però Silvio ha il rialzo".

 

Sarà un caso, ma lo ha inseguito dappertutto: nel pallone, in politica (diventa senatore con i Popolari), con le tivvù (Telemontecarlo, prima di uno scellerato contratto di vendita che lo lascia con la sabbia in mano), nel cinema. Ha volato alto, Vittorio. Ha vinto l’Oscar, ha portato la sua Fiorentina in Champions League, ha avuto donne bellissime. Ma la vita, la magistratura e gli ex compagni d’affari gli hanno chiesto il conto. E lui non è stato in grado di pagarlo. Firenze lo amava. Anzi, di più. E tanto più grandi sono gli amori quanto più devastanti sono i divorzi. Se in riva all’Arno parli di Vittorio, i fiorentini si tappano le orecchie e si turano il naso.

 

Dodici anni in viola. Tanti ne ha trascorsi la famiglia Cecchi Gori alla guida della Fiorentina. Vittorio aveva un sogno: portare a Firenze il terzo scudetto e mettere la sua squadra al pari di Juventus, Milan e Inter, i colossi 'a strisce' come li chiamano qui. Aveva fatto male i conti. Impressionante è la catena di disavventure che l’alba del nuovo secolo gli ha regalato. E tutto, alla fine dei conti, nasce dal crac della Fiorentina. Nasce il 26 giugno 2001, quando i sindaci revisori della società annunciano un buco di 316 miliardi di lire. Un abisso che porta ad altri abissi. Vittorio viene indagato per concorso in riciclaggio e passa agli annali della cronaca quando il 5 luglio, nel corso di una perquisizione alla sua abitazione romana di Palazzo Borghese, oltre a una Valeria Marini in sottoveste salta fuori dalla cassaforte una strana polverina. La replica di Vittorio farà epoca: «È solo zafferano». Peccato che quella polverina fosse bianca e che l’ingrediente base del risotto alla milanese sia rosso.

 

A settembre, mentre Firenze gonfia come un vulcano, Cecchi Gori viene ulteriormente indagato per falso in bilancio e appropriazione indebita per il caso Fiorentina. A dicembre, tanto per non negarsi niente, finisce sotto inchiesta per voto di scambio in Sicilia. E a Palazzo Borghese la polizia fa il secondo giro. Nella primavera 2002 Vittorio tocca il fondo. E comincia a scavare: Fiorentina in B, richiesta di rinvio a giudizio per falso in bilancio e appropriazione indebita e 30mila persone in strada a Firenze per una fiaccolata contro di lui. Il 23 luglio la Fiorentina non viene iscritta al campionato di B, servono 22 milioni di euro per sanare la posizione. Il club ha tempo fino al 29. Vittorio promette di vendere di tutto e di più, ma la realtà sconfina nella farsa, con l’improbabile arrivo di denari di altrettanto improbabili banche colombiane.

 

Il primo agosto 2002 la Fiorentina non esiste più. Cancellata dal calcio italiano. Il 27 settembre viene dichiarata fallita a causa di un 'buco' di oltre cento milioni di euro e Vittorio Cecchi Gori è prima indagato per bancarotta fraudolenta e poi, il 29 ottobre, finisce agli arresti domiciliari. Condannato da una città intera che l’avrebbe né più né meno che mandato al rogo come Savonarola, per il crac della Fiorentina Cecchi Gori verrà condannato anche dalla giustizia ordinaria nel maggio 2007: tre anni di reclusione per avere drenato denaro dalle casse del club viola "con l’unico scopo evidente di coprire impellenti necessità finanziarie di altre società del gruppo che versava in condizioni finanziarie precarie".

 

Da lì in poi sarà un dòmino di disavventure finanziarie e giudiziarie. Dopo la Fiorentina finisce a gambe all’aria anche la Finmavi, la cassaforte e holding operativa di Cecchi Gori dichiarata fallita il 23 ottobre 2006: e per questo, sulla testa di Vittorio, grava un’altra richiesta di rinvio a giudizio della procura di Roma per bancarotta patrimoniale. Ora l’arresto. Disposto dal gip dopo il terzo crac di una società del gruppo, la Safin Cinematografica, dichiarata fallita il 20 febbraio scorso con un passivo che si aggira attorno ai 25 milioni di euro. Il vecchio Marione Cecchi Gori, quello scavezzacollo di Vittorio, lo chiamava "il mi’ bischero". Fosse stato lui ancora vivo la storia avrebbe avuto un finale meno triste.