{{IMG_SX}}Firenze, 24 aprile 2008 - Un operaio di 36 anni al primo giorno di lavoro che cade in un cantiere, si spezza femore e malleolo e viene rinchiuso in un furgone, lontano da occhi e orecchie indiscrete che avrebbero potuto svelare che quell’uomo - arrivato da Napoli con moglie e tre figli piccoli - lavorava a nero. Un complotto fra tutti i presenti per nascondere la verità e per spacciare un incidente sul lavoro come una caduta accidentale domestica, perdipiù frutto di un’ubriachezza. Poi le minacce: "Non dire la verità o passi guai". E poi l’ospedale, dopo otto ore di prigionìa nel furgone. Qualche giorno dopo riuscì a trovare il coraggio di dire la verità, qualche mese più tardi era morto, a soli 37 anni, stroncato da un infarto e da una depressione violentissima.

 

Il dramma di Francesco Liguori si racchiude in queste poche righe e si è concluso ieri dopo otto anni di indagini. Chi coordinava i lavori nel cantiere della 'Videtta Costruzioni Srl' di Empoli, quella mattina dell’11 ottobre del 2000, si chiama Gennaro Di Lascio e il giudice monocratico Elisabetta Cipriani lo ha condannato a cinque anni e mezzo di reclusione, giudicandolo colpevole di omissione di soccorso ed estorsione. Fu lui - come si legge nella richiesta di rinvio a giudizio che venne firmata dal procuratore Francesco Fleury - "per non far scoprire che il Liguori e gli altri operai lavoravano in assenza di regolare assunzione" a minacciarlo e a costringerlo a dichiarare falsamente ai medici dell’ospedale di Empoli di essere caduto dalle scale di casa. Altrimenti? "Altrimenti - scrive ancora il pm - sarebbero insorti dei guai e avrebbe perso il lavoro".

 

Secondo l’accusa, recepita dal giudice che lo ha ieri condannato anche per questo, fu sempre Gennaro Di Lascio, 48 anni, residente a Montecorvino Rovella, in provincia si Salerno, a negare qualsiasi aiuto a Francesco Liguori, "che veniva lasciato senza cura sul posto" dalle 11 circa fino alla 20 quando veniva portato all’ospedale di Empoli. Il giudice Cipriani ha poi prosciolto dall’imputazione di lesioni colpose - ma solo perché a suo tempo non era stata presentata querela - il titolare dell’azienda che aveva allestito i lavori, Michele Videtta dell’omonima azienda di costruzioni di Empoli, e il capocantiere Francesco Videtta, rispettivamente di 49 e 33 anni ed entrambi residenti a Montestano sulla Marcellana in provincia di Salerno.

 

Ma c’è di più: il giudice ha contestualmente disposto la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica, avendo rilevato l’ipotesi di reato della falsa testimonianza a carico di tutti gli altri operai che quel giorno assistettero all’incidente e che, anche in aula, avevano confermato la versione della caduta dalle scale. "Mi è sembrato di essere tornata ai processi in Calabria", è stato il commento filtrato ieri fuori dall’aula alla fine del processo. Perché la ricerca della verità si è scontrata contro un muro di menzogne e di omertà della peggior specie. Da una parte, infatti, c’erano le dichiarazioni del pover’uomo scomparso, della vedova e della suocera; dall’altra, invece, quelle di tutti i presenti nel cantiere, quella maledetta mattina, che hanno per anni mantenuta salda la versione della caduta accidentale in casa.

 

Poi, tre giorni fa, all’ultima udienza dibattimentale, è arrivato il colpo di scena. Sul banco dei testimoni è salito un muratore, un collega di lavoro di Francesco Liguori. "Mi devo liberare la coscienza - ha detto quasi con le lacrime agli occhi -, non resisto più". E l’orrore si è fatto strada nel silenzio gelido dell’aula. L’orrore di una storia che inizia alle 11 del mattino del 20 ottobre del 2000, quando Francesco Liguori precipita da sei metri d’altezza nel cantiere della Videtta Costruzioni in via di Fattucchia a Bagno a Ripoli, dove lavorava a nero senza alcun tipo di protezione.

 

L’uomo viene preso e chiuso dentro a un furgone, con i finestrini sigillati perché all’esterno non si sentissero le sue disperate urla di dolore. Mentre Liguori impazzisce di sofferenza con un femore e un malleolo fratturati, nel cantiere vengono radunati tutti gli operai per costruire un’altra verità in base alla quale l’uomo, ubriaco, è caduto dalle scale di casa e quel giorno non è venuto a lavorare. A tale scopo, gli verranno anche sostituite le scarpe da cantiere con un altro paio normale. L’incidente avviene alle 11, Francesco Liguori viene portato all’ospedale di Empoli alle 20, non prima di essere minacciato di chissà quali ritorsioni se avesse detto la verità. E, infatti, lui non la dice subito. Per paura. La dirà qualche giorno più tardi, alzando il velo su uno scenario da incubo e facendo scattare l’inchiesta della procura che iscrive i due Videtta e il Di Lascio nel registro degli indagati.

 

Le indagini - condotte dal commissariato di polizia di Empoli e coordinate dal procuratore Francesco Fleury - evidenziano le forti contraddizioni della verità costruita a tavolino con quanto veramente accaduto. Nell’agosto del 2001 Francesco Liguori, ad appena 37 anni, viene ucciso da un infarto e dal dolore di una tragedia senza fine. Ma la battaglia giudiziaria per la ricerca della verità e della giustizia, condotta per conto dei familiari dall’avvocato Massimiliano Manzo, va avanti fino al colpo di scena, in aula, di tre giorni fa. Ieri è arrivata la sentenza. Giustizia, seppur tardiva e postuma, è stata fatta. In attesa di un risarcimento danni che sarà quantificato in sede civile.