Perché la Russia vuole invadere l'Ucraina (forse)

Dopo l'annessione della Crimea e il supporto ai separatisti filorussi nel Donbass, Putin agita ancora le acque

Prospettare la guerra per vincere possibilmente senza farla. Innescando la crisi ucraina, la Russia vuole ottenere il più possibile in termini geostrategici, seguendo la lucida capacità di Vladimir Putin di affermare le ragioni di Mosca con azioni spregiudicate ma vincenti come l’intervento nella guerra civile siriana, l’invasione della Crimea e il supporto ai separatisti filorussi nel Donbass, l’intervento nella guerra civile libica e l’azione in supporto ai governi amici di Bielorussia e Kazakstan minacciati da rivolte popolari. 

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Una vera e propria invasione russa in Ucraina è un rischio rilevante, che non può essere escluso, ma che al momento resta ancora improbabile, perchè la Russia vuole risultati, non impegnarsi in una difficile guerra di conquista e occupazione di un grande paese, contro un esercito imparagonabile al proprio ma rilevante (250mila uomini), con una popolazione per oltre la metà pronta a sostenerne gli sforzi. I costi economici, umani, poltici e militari sarebbero molto rilevanti e Mosca (che ha dovuto tassare le pensioni per finanziare la annessione, avvenuta senza comnbattimenti, della pur piccola Crimea) è improbabile che voglia pagarli. 

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L'espansione della Nato a Est

Quello che vuole il Cremlino è spostare il bilancio strategico nell’area. Putin è mosso da ragioni storiche, geopolitiche e strategiche. Mosca considera strategicamente Kiev il suo "cortile di casa". Per dirla con Putin, quelli russo e ucraino "sono due popoli che condividono un unico spazio storico e spirituale". Mosca è convinta che l’espansione della Nato avvenuta negli anni '90 nei paesi ex patto di Varsavia abbia messo a rischio la propria sicurezza. Dopo le promesse Nato di un allargamento ulteriore verso Ucraina e Georgia, fatte nel 2008, e dopo le rivoluzioni arancioni che hanno sottratto al Cremlino un governo amico a Kiev (2014) Putin ha deciso di agire invadendo la russofona Crimea e promuovendo e sostenendo la rivolta filorussa nel Donbass, rendendo di fatto impossibile l’ingresso di un paese in guerra, l’Ucraina, nella Nato. Ma a Putin non basta, vuole almeno in parte recuperare lo spazio perduto e il fatto avere ancora per qualche anno una leva potente nei confronti dell’Europa, le esportazioni di gas, ha deciso di agire con la consueta spregiudicatezza. 

"Per noi – ha affermato il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov – è assolutamente obbligatorio garantire che l’Ucraina non diventi mai e poi mai un membro della Nato". E non solo. Nei giorni scorsi la Russia ha formalmente presentato alla Nato la richiesta di rimuovere qualsiasi truppa non nazionale e qualsiasi sistema d’arma schierato nei paesi che sono entrati nell’alleanza dopo il 1997. Come dire gran parte dell’Europa orientale, compresa la Polonia, i paesi ex sovietici di Estonia, Lituania, Lettonia e i paesi balcanici. La Russia ha anche chiesto che la Nato escluda ulteriori espansioni, non solo quella dell’Ucraina ma anche quella della Georgia, e che non tenga esercitazioni militari in Ucraina, nei paesi del Caucaso come la Georgia o in Asia centrale, e anche nellei paesi ex patto di Varsavia senza il previo accordo della Russia. 

Evitare il dispiegamento di testate nucleari

E’ una agenda inaccettabile per la Nato, specialmente circa il ritiro delle proprie forze e il no ad esercitazioni nei paesi dell’Est Europa, come ben sa anche il Cremlino, che non ne farà un punto dirimente. Quello che è invece essenziale per Mosca è evitare un allargamento della Nato verso Est e scongiurare un ridispiegamento di testate nucleari americane dalla Germania e dall'Italia verso la Polonia, ridispiegamento teoricamente possibile dopo la fine del trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), che fino al 2019 vietava il dispiegamento di missili nucleari con un raggio da 500 a 5500 chilometri. Mosca vorrebbe anche la fine di ogni progetto di difesa missilistica Nato con basi e radar in Est Europa. Altro punto chiave è non avere più a Kiev un governo filo occidentale.  Questa è la linea rossa per Mosca, congelare l’avanzata della Nato verso Est e avere un governo almeno neutrale a Kiev che dia ampia autonomia alle regioni russofone del paese.

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Il Cremlino conta di arrivarci con lo schieramento delle divisioni corazzate e il "tintinnio di sciabole". Ma non può essere negato il rischio che gli ambienti miltari e della sicurezza convincano Putin a una mossa più aggressiva, l’ingresso di forze militari russe nel Donbass e forse anche ad Odessa rispondendo a una "provocazione", un classico incidente – magari nel Donbass o ad Odessa – da "false flag" come ragionevolmente furono le sanguinose bombe ai palazzi di Mosca, Buynaksk e Vogodonsk avvenuti tra il 4 e il 16 settembre 1999, che fecero 293 morti e che, attribuiti ai ribelli di Cecenia e Daghestan, diedero il via libera alla seconda guerra cecena. Premier allora, fu eletto il 16 agosto 1999, era l’ex capo del Fsb, Vladimir Putin. I tempi sono cambiati e Putin – che è spregiudicato ma non è un avventurista – sa che una ipotesi simile, pur se "giustificata" da asseriti intenti umanitari e pacificatori dopo un attacco terroristico, sarebbe un grosso azzardo che farebbe certamente scattare pesanti ritorsioni e sanzioni. Ma per quanto improbabile, un intervento, specialmente nel Donbass, non può essere escluso.

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