Empoli, 6 dicembre 2010 - Il distretto produttivo dell’abbigliamento di Empoli ha ricominciato a marciare in quanto a export, anche se il mercato interno continua in gran parte a latitare, a testimonianza del fatto che la ripresa complessiva è ancora una chimera. E comunque anche per le esportazioni la ripresa è sul 2009, un anno da dimenticare, visto che è quello che ha scontato in pieno i drammi della crisi innescata dai tristemente noti mutui immobiliari Usa. Nel primo semestre di quest’anno (dati de Il Sole 24 Ore) il distretto delle confezioni dell’Empolese ha inviato all’estero prodotti per 363 milioni di euro. Un risultato di tutto rispetto che però, se paragonato con quelli del primo semestre 2008, quando la crisi non aveva ancora infuriato sui conti delle aziende, mostra un -25%. Quindi, per rivedere le cifre precrisi le imprese dovranno macinare ancora un bel po’ di ordini.

 

E’ chiaro che non tutto l’export è uguale: chi lavorava con gli Stati Uniti, tanto per fare un esempio, ha subito una diminuzione forte, visto che gli americani hanno lasciato cadere il loro smodato amore per le carte di credito e sono diventati, in genere, più inclini al risparmio, anche se negli ultimi tempi sono tornati i segnali di vivacità. Mentre invece le società che avevano puntato su Russia e Cina possono guardare con una maggiore dose di serenità al futuro. Non che in quei mercati sia tutto rose e fiori: la concorrenza è forte, e gli ordini arrivano solo a chi garantisce il made in Italy vero la giusta, alta, dose di gusto. Allora il problema non è certo il prezzo, ma semmai quello di dover incrociare i guantoni, in una metafora pugilistica, con i big del lusso internazionale, quelli che affollano gli spazi all’interno dei grandi centri commerciali. Sotto questo aspetto i due consorzi di imprese, in buona parte della zona, che hanno aperto gli show room a Mosca stanno ottenendo qualche soddisfazione.

 

Per il capitolo Cina c’è chi comincia ad affacciarsi nell’ex Celeste Impero trovando prospettive interessanti. In questi casi conta la taglia dell’impresa: una piccola realtà da sola può evitare di sobbarcarsi il viaggio, mentre le aziende più strutturate hanno obiettivamente più chance. Quello cinese è un mercato che ha bisogno di un livello dimensionale delle imprese abbastanza alto perché gli sforzi compiuti vengano ripagati. Daltronde, a parte le note Pechino e Shangai, ci sono città sconosciute ai più che hanno oltre 5 milioni di abitanti: tanto per avere un’idea del livello della sfida. E poi, per esportare in Cina, non ci si può limitare ad affacciarsi in Estrtemo Oriente: sono necessarie relazioni con imprese locali per avere la possibilità di incidere realmente nel Dragone d’Asia.

 

Ma c'è anche un altro distretto che macina buoni risultati e che ci tocca, se non altro per Fucecchio: quello della concia e delle calzature di Santa Croce. Nel primo semestre dell’anno l’export è stato di quasi 433 milioni di euro, con un calo rispetto all’analogo periodo del 2008 ‘solo’ del 6,2%. Ciò significa che i ‘signori della concia’ hanno quasi recuperato il terreno perso dopo lo scoppio della crisi. Un dato molto importante che ci parla di Paesi, come quelli asiatici, che hanno ricominciato a utilizzare le loro linee produttive a pieno ritmo chiedendo pelli da usare per l’abbigliamento e per le calzature. E tra i mercati di sbocco del pellame di Santa Croce c’è anche l’altro gigante d’Asia, quell’India che sta scalando le classifiche economiche mondiali.