Morte di Bryant, "E suo padre Joe mi disse: Kobe sarà più forte di me"

"Era un bambino simpaticissimo e si vedeva quanto amasse il basket. Aveva davvero una marcia in più"

Kobe Bryant con suo padre Joe, stella del basket degli anni ’80 in Italia

Kobe Bryant con suo padre Joe, stella del basket degli anni ’80 in Italia

Empoli, 28 gennaio 2020 - «Non ci sono parole. C’è spazio soltanto per il dolore e la rabbia». Francesco ‘Sisco’ Mazzoni, oggi responsabile tecnico del settore giovanile dell’Use Basket, il giorno dopo la tragica morte della stella del basket Nba, Kobe Bryant, stenta a fare i conti con la realtà. Lui, giovane guardia-ala in forza al basket pistoiese in serie A2 negli stessi anni in cui vi militava Joe Bryant, il ‘Black Mamba’ lo ha conosciuto quando era poco più che un bambino e con mamma Pamela, babbo Joe e le due sorelle maggiori, viveva sulla montagna pistoiese, a Cireglio, e respirava l’aria del palazzetto.

Che bimbo era Kobe?

«Aveva nove, dieci anni. Era magro e parlava calabrese. Era simpaticissimo, ma soprattutto amava già il basket. Giocava con quelli più grandi ma voleva tirare sempre lui. Si vedeva che mentalmente aveva una marcia in più. E lo ha dimostrato in pieno nel corso della sua carriera».

Un talento precocissimo...

«Quando giocavo con suo padre, mi è capitato anche di allenarlo. Da giocatore facevo l’allenatore in un camp a Cutigliano: lui venne insieme a suo padre, ospite d’onore della manifestazione, e si mise a giocare. Io me lo ricordo così. Sempre con il suo babbo. Una famiglia unita».

Lo seguiva anche ai vostri allenamenti?

«Certo. Arrivava con lui, un paio d’ore prima dell’inizio della sessione, e si metteva a palleggiare. Quando entravamo in campo, si sedeva salvo poi rimettersi a giocare non appena finivamo, mentre suo padre faceva la doccia. Un giorno, Joe mi disse ‘vedrai, lui diventa più forte di me’. Io, neanche ventenne, gli risposi ‘non ci pensare neanche’. E invece aveva ragione lui: è diventato un campione, unico per certi aspetti, amatissimo. E la commozione di queste ore ne è la dimostrazione: la sua scomparsa ha colpito tutti, sportivi e non».

Come ha appreso dell’incidente?

«Ero davanti alla tv con mia moglie e con mio figlio. Avevamo visto una notizia, ma non le avevamo dato peso: pensavamo fosse un ‘fake’. Poco dopo è passato un lancio su un canale sportivo. Abbiamo cercato conferme sempre con la speranza che fosse un errore, ma alla fine ci siamo dovuti arrendere».

Una vera tragedia.

«Improvvisa, sconvolgente. La sua assenza la comprenderemo con il tempo. Adesso c’è sgomento per lui, per sua figlia anche lei deceduta, per chi era su quell’elicottero, per la sua famiglia. Per un idolo, con la doppia magia ritirata (le numero 8 e 24, sue nei Lakers, ndr) scomparso in modo assurdo, dopo esser stato superato appena poche ore prima nella classifica dei migliori marcatori Nba da Lebron James. Che dire. So solo che mi piacerebbe abbracciare forte Joe e Pamela. E che, da genitore, non riesco a pensare alla sua piccola morta con lui».