Keu, dai cantieri per Tav e variante di valico ai giorni neri dello scandalo sul distretto

La storia di Ecoespanso-Aquarno: dalla prima commercializzazione del prodotto all’indagine della Dda sulle ’terre avvelenate’

Analisi Arpat

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Santa Croce, 4 novembre 2021 - Il mondo dell’edilizia fu un obiettivo per Ecoespanso già alla fine della prima decade degli anni Duemila. Quando si iniziò a parlare di Keu. E di lì a poco, stando alle carte, ci furono i primi utilizzi importanti. Tant’è che nel maggio 2011 troviamo, in un report di Arpat sullo stabilimento, un primo approfondimento sul keu e sul funzionamento di un impianto d’avanguardia che i conciatori di Santa Croce avevano creato per dare una spinta all’economia circolare del distretto. Il report descrive il ciclo produttivo dell’azienda e il suo passaggio chiave con il sistema di inertizzazione a caldo: produzione granulato sinterizzato (Keu) attraverso l’essiccamento – i dati rilevati dieci anni fa -, "la pirolisi e la sinterizzazione dei fanghi in uscita dalle centrifughe". 

Da qui il passaggio – nella ricostruzione del ciclo – nell’impianto Plastofill per il trattamento del granulato inerte in uscita dall’impianto di inertizzazione a caldo Keu per produrre materiale silico-calcareo, materia prima per la produzione di conglomerati bituminosi e cementizi. E di lì a due anni ritroviamo il Keu – oggi finito al centro dell’indagine della procura antimafia di Firenze – in un altro report di Arpat sui controlli integrati nel Comprensorio e sugli impianti del distretto finalizzati a limitare il conferimento dei fanghi in discarica, destinando i prodotti ai settori appunto dell’edilizia, della cantieristica stradale e del mercato agricolo. E qui si legge, relativamente ad Ecoespanso: "A partire dal 2009 Ecoespanso sta cercando di delocalizzare presso impianti esterni per ragioni commerciali e compatibilmente con l’andamento del mercato, l’attività di trasformazione del granulato inerte (Keu) in uscita dall’impianto a caldo a materie prime per la produzione di conglomerati bituminosi e cementizi". L’attività di Arpat ha accertato "l’efficacia del proseguimento della filiera di recupero anche presso tali impianti. In particolare è stato effettuato un sopralluogo presso l’impianto di stoccaggio e trattamento di rifiuti inerti della società Le Rose Srl a Pontedera, che ha ricevuto il Keu di Ecoespanso dallo scorso settembre".

E’ la prima fase della vita e della commercializzazione importante del Keu che, si apprende dal report: "I prodotti risultanti – si legge – sono stati venduti a imprese che li impiegano nel cantiere Tav e nel rifacimento dell’autostrada A1 nel tratto appenninico tosco-emiliano". Prime destinazioni del Keu che, a quanto ci risulta, non sono entrate nell’inchiesta in corso che coinvolge il prodotto. Perché il Keu, adeguatamente trattato, miscelato e legato idraulicamente con cemento, è un prodotto che non dà problemi, non rilascia sostanze contaminanti perché restano "incapsulate".

Il primo Keu, con i relativi controlli di filiera, quindi, finì anche fuori Toscana e a commercializzarlo fu Le Rose. Poi c’è stata un’altra storia. Quella al centro dello scandalo. Quella che, stando alle indagini, per risparmiare, avrebbe portato a un utilizzo non corretto del Keu grazie a un sistema radicato di illeciti con in mezzo la politica, asservita e sodale, per ammorbidire o eludere i controlli, per concludere con la pubblica amministrazione accordi favorevoli o spingere nomine a capo degli enti di controllo "graditi" al sistema. 

Sarebbe stato così che il Keu, che usciva dall’impianto Aquarno – secondo le indagini (19 indagati, anche politici) – veniva inviato alla ditta di Francesco Lerose di Pontedera (l’imprenditore calabrese sospettato di essere in contatto, con la cosca di Nicola Grande Arachi di Cutro) che lo riciclava però per riempimenti e sottofondi stradali nonostante, non ne fosse consentita tale modalità di recupero perché avrebbe potuto rilasciare nel suolo e nelle acque solfati, cloruro e cromo. Invece sarebbe finito a tonnellate nel V lotto della 429, in mezza provincia e anche altrove, come a Bucine. Sono 13 i siti finiti sotto la lente e le perizie disposte dalla procura hanno confermato cromo oltre i limiti di legge.