«Io, in cella da innocente. Ma non sarei mai fuggito»

Gulotta uscito dopo 22 anni e risarcito con 6 milioni parla del caso dell'uomo che è rientrato in Italia a pena estinta dopo vent'anni da latitante ai Caraibi

Giuseppe Gulotta

Giuseppe Gulotta

Certaldo (Firenze), 30 maggio 2017 - «Se all’epoca avessi saputo che esisteva un modo per estinguere la pena senza scontarla ci avrei fatto un pensierino...». Scherza Giuseppe Gulotta, l’uomo che ha trascorso 22 anni in carcere da innocente, accusato dell’omicidio di due carabinieri in Sicilia nel 1976 (parlando del caso dell'uomo rientrato in Italia dopo vent'anni di latitanza a pena estinta). Ma non è quello che pensa veramente l’ex muratore di Certaldo. «No – riprende, facendosi immediatamente serio –. Non sarei mai fuggito via perché sarebbe stata la prova della mia colpevolezza. Fin dal giorno in cui sono stato condannato all’ergastolo il mio scopo era dimostrare che ero innocente. Sì certo, avrei potuto allontanarmi come hanno fatto i miei coimputati (Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli, fuggiti in Brasile prima della sentenza definitiva, sono rimasti 22 anni lontani dall’Italia, ndr), ma io sono rimasto non smettendo mai di cercare le prove che facessero venire fuori la verità». Pensando al suo caso, però, non crede che certe leggi siano un po’ beffarde? «La legge è legge e va rispettata. Vale per i cittadini come per lo Stato. Se esiste una norma che permette di estinguere la pena decorso un tempo pari al doppio della pena inflitta, beato colui che può beneficiarne senza trascorrere un solo giorno in carcere».  Beh, però, l’uomo di Pisa, oltre a non farsi un giorno dietro le sbarre, ha vissuto gli ultimi venti anni in un’isola caraibica... «Sa come si dice nel gergo carcerario? La fuga è ammessa, l’evasione no. Lui, scappando, non ha commesso alcun reato. Tuttavia, credo che stando venti anni su un’isola abbia avuto poca possibilità di muoversi. Con una condanna sulle spalle non sei mai veramente libero». Mentre con una assoluzione con formula piena (sentenza emessa dalla corte d’Appello di Reggio Calabria il 13 febbraio 2012, ndr) e 6 milioni e mezzo di euro di risarcimento è possibile rifarsi una vita? «Quello che ho passato è impossibile da cancellare. Ogni tanto mi torna in mente la prima notte in carcere, le mazzate ricevute da quei carabinieri per farmi confessare il falso. Mi sveglio tremando, poi mi guardo intorno, riconosco la mia stanza da letto, vedo al mio fianco Michela (la donna che non lo ha mai abbandonato e che ha sposato nel settembre 2012, ndr) e mi tranquillizzo. La mia vita ormai è proiettata al futuro. Dall’assoluzione sono successe molte cose. È uscito un libro scritto con Nicola Biondo, con i soldi del risarcimento è nata una Fondazione che porta il mio nome e che ha lo scopo di offrire alle vittime di errori giudiziari una tutela in termini di consulenza legale e di supporto psicologico. Il progetto è maturato con i miei avvocati Pardo Cellini e Baldassare Lauria e si sta già occupando di alcuni casi».  C’è qualcos’altro che vorrebbe realizzare? «Adesso sono sereno. Sono nonno di sette nipoti, tre dei quali nati dopo l’assoluzione. Ho la fortuna di vederli crescere. Ed è bellissimo».