Guadagni milionari per i falsari delle griffe

La guardia di finanza ha calcolato i profitti in 4.6 milioni. Nella maxi inchiesta sono coinvolte molte persone del nostro territorio

EMPOLESE VALDELSA

Obiettivo: arricchirsi attaccando il mercato coreano. Una missione compiuta visto che la procura ha quantificato in circa 4,6 milioni di euro il busniness consolidatosi nel corso degli anni. A tanto ammonta il sequestro che i pm Ester Nocera e Leopoldo De Gregorio hanno effettuato a carico dei componenti dell’associazione per delinquere dedita alla contraffazione ‘di lusso’ nel mirino della finanza. Il nostro territorio è al centro dell’inchiesta.

Sette gli arrestati, tutti ai domiciliari, fra loro Riccardo Bini, 45enne empolese di origine ma domiciliato a Monza, il vinciano Massimiliano Masi, 48 anni, Yao Zhou, 31 anni, cinese ma residente a Fucecchio, e Luca Benvenuti, 54 anni, di Fucecchio. Oltre a loro, fra i colpiti dalla misura cautelare, anche Jongheon Kim, Thomas Bambagioni e Carmine Razzano. Tutti, secondo quanto indicato nell’ordinanza del tribunale di Firenze, "sono dediti stabilmente alla contraffazione di beni di pelletteria di pregio, che predispongono per la clientela italiana ed estera, sulla base di richieste di mercato risalenti nel tempo". Non solo. Il Tribunale sostiene che "Riccardo Bini si era già reso responsabile di reati di contraffazione di pelletteria di alto pregio" e che "non svolge altro tipo di attività e ha dimostrato sistematicità nel reperire contatti utili a gestire la sua condotta finalizzata alla realizzazione di denaro in spregio alla genuinità dei marchi". Differente il ruolo di Masi che, secondo gli inquirenti, "ha provveduto a reperire clienti" e "ha contribuito a realizzare la non tracciabilità di denaro provento dei delitti di contraffazione". Benvenuti si sarebbe "reso disponibile alla stampa della pelle" e Zhou sarebbe "l’anello di congiunzione tra Italia e la Cina nel reperimento di minuteria falsa o di produttori conniventi che trasmettessero in Italia oggetti utili all’assemblamento di beni finiti contraffatti".

Figura chiave del maxi-business ordito su un asse che va dai capannoni della Piana fiorentina e della Valdera fino al mercato asiatico, lambendo le piazze della moda, il coreano ‘milanese’ Kim. Sì, perché questa industria del falso niente ha a che vedere con tappetini, bancarelle o spiagge. Anche se partita da Viareggio, l’indagine ha tolto il velo su un mercato fiorentissimo e assai dannoso per i marchi del lusso. L’alta qualità garantita dall’associazione si faceva anche pagare. Un passaggio che portava ghiotti ricavi che, secondo il giudice, gli indagati avevano anche imparato a occultare con fatture false e conti all’estero. Il business, secondo l’accusa, va avanti "indefessamente da almeno cinque anni orsono e non interrompendosi nemmeno a seguito delle perquisizioni effettuate". Tant’è che, precisa il gip, "gli indagati dimostrano una specifica, precisa e unidirezionale capacità a delinquere e collegamenti tra di loro di sicura collaborazione, dando prova di notevole pervicacia nel perseguire dei provi fini illeciti, attraverso un ben preciso disegno criminoso che, proprio in ragione del lauto guadagno, li induce a persistere e mantenere dette condotte". Un ‘sistema’ che ha visto tra gli indagati, in tutto 21, anche alcuni padri, rei di aver ‘aiutato’ i figli.