"Noi medici di famiglia in trincea senza armi"

Il dottor Luciano Fanciullacci: "Ci hanno mandato in guerra con le scarpe di cartone. L’esperienza aiuta, ma i dispositivi di protezione non bastano"

Il dottor Luciano Fanciullacci, rappresentante della federazione dei medici di famiglia

Il dottor Luciano Fanciullacci, rappresentante della federazione dei medici di famiglia

Empolese Valdelsa, 27 marzo 2020 - Quella contro il coronavirus è una battaglia che si deve combattere su più fronti. I presidi ospedalieri hanno le loro truppe schierate, ma anche i medici di famiglia sono chiamati a fronteggiare il nemico in prima linea: sono il primo filtro tra il territorio e l’ospedale. Spetta a loro, in primis, capire e valutare i sintomi dei pazienti per poi indirizzarli verso il percorso di cura migliore. Ma farlo senza gli strumenti adeguati fa sì che ogni sforzo diventi vano se non addirittura rischioso. A fare il punto su come se la passano i camici bianchi di medicina generale del territorio è il dottor Luciano Fanciullacci, vice segretario provinciale Fimmg. Come sono stati preparati i medici di famiglia a questa emergenza sanitaria? "Ci aiuta l’esperienza, ma ci aiuterebbe molto di più avere dispositivi di protezione adeguati. Ci mandano in battaglia con le scarpe di cartone". Non avete avuto mascherine e altri dispositivi di protezione da indossare in servizio? "Non in quantità sufficiente e soprattutto non quelle che servirebbero per proteggerci da eventuali contatti a rischio. Le mascherine chirurgiche vanno bene per andare a fare la spesa al supermercato ma per visitare i pazienti servirebbero quelle più protettive come si usano in corsia". Quanto è alto il rischio di essere infettati? "Molto alto, come alto è il rischio di diventare noi stessi ‘untori’, poiché si può essere contagiati ma asintomatici. E se uno dei medici dovesse contrarre il virus sarebbe un guaio, perché oltre a un problema personale, si creerebbe un problema molto più ampio. Nel territorio dell’ex Asl 11 ci sono 170 medici di famiglia che hanno ciascuno dai 1000 ai 1500 pazienti. Soltanto alla Casa della salute di Empoli ci sono 13 medici per 17mila pazienti. In caso di indisponibilità subentra il sostituto, ma la conoscenza che il medico ha dei propri pazienti non può essere trasferita. Uno di noi ha dovuto osservare un periodo di quarantena e non è stato facile gestire la sua assenza. Adesso siamo tutti concentrati sulla patologia del momento, ma ricordiamoci che tra i pazienti che necessitano di controlli periodici ci sono i diabetici, i cardiopatici…". Come vi proteggete dal rischio contagio? "Limitiamo gli accessi impropri negli ambulatori. Chiediamo di non venire per le piccole cose. Per esempio, se un paziente ha un foruncolo o qualcosa di superficiale da controllare gli chiediamo di fare una foto e inviarcela. Anche per le ricette utilizziamo la tecnologia: inviamo un sms con un codice da presentare in farmacia cui è abbinata la ricetta che permette di ritirare il farmaco. Basterà mostrarlo al bancone muniti di tessera sanitaria". In tempi di coronavirus la medicina territoriale sta cambiando pelle… "Stiamo anche noi scoprendo un sistema di lavoro che ci sarà utile anche dopo che sarà passata, si spera presto, questa emergenza. Fra un paio di giorni dovrebbero partire anche le unità speciali di continuità assistenziali territoriali. Saranno in servizio agli ospedali di San Miniato, Castelfiorentino e Fucecchio, in spazi non accessibili al pubblico . Ciascuna unità è composta da un medico e un infermiere. Dotati di tutti i presidi di protezione avranno il compito di gestire a domicilio i pazienti affetti dal virus che non necessitano di ricovero. Saranno l’interfaccia tra il territorio e la medicina generale. Perché la prima barriera contro il coronavirus è la rete sanitaria territoriale: più strumenti le vengono dati per lavorare bene e meno ospedalizzazioni avremo, lasciando i posti letto soltanto ai pazienti che necessitano di ventilazioni e cure assistite". 

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