Coniugi uccisi e il giallo delle valigie Parla Elona, l’unica imputata

"Tutti mentono, io innocente" e spuntano due figli segreti. Ieri faccia a faccia in aula bunker tra la Kalesha e i pm

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di Stefano Brogioni

EMPOLESE VALDELSA

Elona Kalesha parla per la prima volta. E il suo interrogatorio al processo in cui è l’unica imputata per l’omicidio dei suoceri, Shpetim e Teuta Pasho, scomparsi il primo novembre del 2015 e ritrovati fatti a pezzi nel dicembre del 2020 in quattro valigie abbandonate in un campo sotto la Firenze–Pisa-Livorno, vicino al carcere di Sollicciano, è quasi uno show.

Con un colpo di scena: la donna, 38 anni il mese prossimo, ha due figli "segreti", concepiti nel gennaio del 2011 e nell’aprile del 2012. Adesso, i pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, pur rispettando l’anonimato della procedura scelta dalla madre (che partorì all’ospedale di Empoli), verificheranno se il padre di quei due figli sia Taulant, figlio della coppia ammazzata ed ex fidanzato della Kalesha. La caccia alla paternità, non è un capriccio di quell’accusa che sovente, nell’udienza fiume di ieri, ha finito per scontrarsi con l’atteggiamento di sfida di Elona. Perché resta il dubbio intorno a un’altra gravidanza, stavolta interrotta, collocata il 27 ottobre del 2015, quattro giorni prima della scomparsa della coppia. Per Elona no. Sono tutti figli di Taulant "e lui lo sapeva". Anche l’ultimo, concepito nell’estate precedente al delitto che la procura colloca tra il primo e il 6 novembre di sette anni fa. Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, il fidanzato di Elona era detenuto; lei andava a trovarlo ogni volta che le era permesso. "E’ successo a Sollicciano, durante un colloquio: era estate e siamo usciti fuori, nel giardino degli incontri", ha detto la donna, fra lo stupore generale. L’ex è in aula: in un precedente interrogatorio aveva già detto che non era vero. Ieri, lo ribadisce, anche con ampi gesti di disappunto. Anche la polizia penitenziaria scuote la testa. "Non è colpa dei sorveglianti: i detenuti sono tanti e non riescono a vedere tutto", mette prontamente una toppa la Kalesha.

Le chiavi di via Fontana. C’è un altro luogo e c’è un altro momento clou di questa storia. La casa di via Fontana presa in affitto da Elona e dove i coniugi Pasho sarebbero stati ammazzati e fatti a pezzi la notte precedente alla scarcerazione di Taulant. Elona puntualizza che era lei, soliamente, a sbrigare la pratiche per l’affitto delle case dei suoceri quando dall’Albania venivano a passare brevi soggiorni in Italia. Ma i pm la punzecchiano sul comportamento poco lineare tenuto invece sulla riconsegna delle chiavi: Elona, infatti, scaduto l’affitto non si farà sentire dalla proprietaria, nonostante la caparra di cento euro che avrebbe potuto ritirare. "Pensavo che i miei suoceri avessero lasciato la casa sporca e la proprietaria avesse trattenuto i soldi". Elona conferma di essersi recata in via Fontana il pomeriggio del primo novembre. "Ho portato una valigia e un ferro da stiro a Teuta. Quando sono arrivati lì stavano litigando".

La discussione, secondo l’imputata, sarebbe scaturita da dissapori con le due figlie Dorina e Vittoria, residenti a Castelfiorentino. Una discussione familiare tale da partire all’improvviso senza salutare nessuno? Per alcuni giorni fu così, in effetti. Poi Taulant uscì e cercava i suoi. "Erano circa 60mila euro", dice Elona, facendo sapere che erano i proventi dello spaccio che Pasho faceva arrivare in Albania. I familiari cercavano la casa dove avevano alloggiato i Pasho e, secondo i pm, Elona fece di tutto per nasconderla. Ma lei, con fare straripante, dà di bugiardi a tutti: "Non sono stata io e sono dentro da 23 mesi". La presidente della corte d’assise, Anna Favi, è costretta a rimetterla spesso in riga. Martedì prossimo, sarà di nuovo in aula: dopo le domande dei rappresentanti delle parti civili (gli avvocati Cristina Masetti, Eleonora Rossi, Elisa Baldocci, Filippo Viggiano), concluderanno i suoi difensori, Antonio D’Orzi e Federico Febbo, e poi spazio all’eventuale controesame dell’accusa. Poi avanti con il processo.

(Hanno collaborato Mafalda Chiostri, Laura Nasali, Gabriele Manfrin)