Cosa insegna il pasticcio Astrazeneca

I vaccini, l’Europa e noi

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 21 marzo 2021 - Siamo tutti populisti? Se la domanda vi pare bizzarra pensate alla settimana appena trascorsa. Pensate al pasticcio Astrazeneca. Pensate alla Germania che sospende il vaccino, all’Italia che segue a ruota – "non potevamo fare altrimenti", ha detto in pratica Draghi – a Spagna e Francia che si accodano sulla scia delle stesse motivazioni: si badi, non dettate da evidenza scientifica, ma dall’onda d’urto dell’opinione pubblica. Venticinque casi di trombosi su venti milioni di somministrazioni del siero anglo-svedese sono state sufficienti per sospendere nel giro di mezzo minuto un’intera campagna. Si è detto: abbiamo perso tre giorni, non facciamone una tragedia. No.

Non facciamone una tragedia, non fosse che ogni minuto è prezioso, ogni dose necessaria, ogni iniezione in più decisiva. Non fosse che sul fronte vaccini siamo tremendamente indietro rispetto alla tabella di marcia, e che se la "campagna vaccinale più importante della storia dell’umanità" doveva diventare inevitabilmente anche una prova di forza tra Paesi – un po’ come la corsa allo spazio degli anni ’60 – l’Unione Europea si sta scoprendo piccola piccola di fronte alle superpotenze mondiali. Più piccola anche della Gran Bretagna che dopo aver fatto la Brexit ora fa per sé sui vaccini. E lo fa molto meglio di noi. Noi: che paghiamo lo scotto dei ritardi sulle consegne delle dosi (e qui diamo pure la colpa alla Commissione Europea e a Big Pharma), ma anche di gestioni non sempre brillanti (e questa volta la colpa è solo nostra), in attesa di capire se il governo Draghi centralizzerà il sistema delle somministrazioni, oggi ancora sostanzialmente delegato alle regioni. Che non procedono tutte al solito ritmo.

Pensiamo al caso della Toscana, purtroppo tra le meno virtuose nella vaccinazione degli ottantenni: e poco male se è ormai un anno che ripetiamo che sono loro i più fragili, i più vulnerabili, i più esposti, la generazioni che sta pagando il tributo più alto in termini di vite umane di questa pandemia. Nella corsa contro il tempo al vaccino, gli ottantenni toscani sono stati superati da una serie variegata e variopinta di categorie professionali, oltre che da tutti gli imbucati vari che anche questa volta sono riusciti a essere più uguali degli altri, come spesso accade nel nostro Paese in cui corporazioni e clientele hanno alla fine ancora la meglio sul buonsenso e sulla giustizia sociale.

Sempre a proposito di populismo: accontentare chi ha la voce più grossa è la dimostrazione plastica di una politica debole, che rincorre l’emotività del momento (come ha fatto la Germania con Astrazeneca) e che ha perso la capacità di guardare con lungimiranza al futuro, prendendo decisioni forse meno comode, ma di certo più sagge e coerenti.