Tutti colti a parole. Ma le città d’arte restano vuote

L'editoriale della direttrice della "Nazione"

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 26 luglio 2020 - Gli italiani non amano l’arte, neppure i musei, neppure le mostre, men che meno i palazzi rinascimentali, per non parlare dei siti archeologici, delle audioguide, delle cattedrali romaniche o gotiche o barocche, dei vasellami etruschi, dei mosaici bizantini. Avevamo bisogno di queste vacanze post pandemiche, per forza di cose autarchiche, le vacanze in cui si predica agli italiani di stare in Italia (e dove volete che vadano, pure con la crisi che c’è?) per ottenere plastica e tragica di fronte agli occhi la rappresentazione di un sospetto che in fondo avevamo sempre avuto: e cioè che a noi della cultura frega davvero pochissimo. Quasi niente. Vuoi mettere un ombrellone blu cobalto con un crocefisso di Giotto? Con tutto il rispetto.

Le italiche inclinazioni si vedono cristalline dalla fotografia turistica di questi week end: pieni i nostri lungomare (alberghi pieni al 70% secondo Assoturismo Confesercenti), affollata l’alta quota per chi preferisce la montagna (68%), vanno bene addirittura gli agriturismi sui laghi (66%). E drammaticamente vuote le città d’arte. A piangere non sono solo Firenze, Siena, Pisa. Sono Venezia, Roma, Napoli. Un dramma.

I numeri lampeggiano nelle statistiche e nelle previsioni (si stimano meno 8,5 milioni di presenze rispetto al 2019), mentre il grido d’aiuto delle categorie economiche ci pone di fronte a un’emergenza che rischia di snaturare l’indotto del turismo nei centri storici più importanti oltre che incommensurabilmente belli, invidiati, ricchi di un passato che ha fatto la fortuna del nostro presente.

Ora che non possiamo più contare sui russi, sui cinesi, sugli americani, e ben poco anche sugli inossidabili tedeschi e sui fedelissimi francesi, abbiamo scoperto che da soli, ad amare e ad ammirare la nostra bellezza non ce la possiamo fare, non bastiamo. Se prima potevamo ignorare il congenito disinteresse per l’arte e per la cultura - dando la colpa al sovraffollamento e all’uggia per «quei soliti giapponesi che fotografano tutto» - oggi non abbiamo scuse: e il vuoto pneumatico lasciato dall’assenza dello straniero ci inchioda a un’evidente indifferenza per il patrimonio che è e resta orgogliosamente nostro. Ma sostanzialmente ignorato.

Così sono rimasta stupita nel vedere con quale accanimento Chiara Ferragni sia stata bersagliata come fosse una strega per aver posato davanti alla Venere del Botticelli negli Uffizi fiorentini, anche loro nel tritacarne dell’onda benpensante: come hanno osato i custodi del genio rinascimentale mescolare il sacro e il profano! Allora mi sono detta: vuoi vedere che siamo finalmente diventati fini cultori e puristi dell’arte? Ci hanno pensato i numeri di cui sopra a mostrarmi che sbagliavo. Perché noi agli Uffizi ci entriamo a fatica, ma se ci va qualcun altro ci viene pure l’orticaria.