Social, politica e odiatori. L’importanza di reagire

L'editoriale della direttrice de La Nazione

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 9 febbraio 2020 - Laura Boldrini era, ai tempi, presidente della Camera. La terza carica dello Stato. E divenne la vittima sacrificale dell’odio socialmediatico, assurta suo malgrado a simbolo di una politica perseguita con altri mezzi, del tutto nuovi per l’epoca: l’insulto virtuale di massa. Che uccide reputazioni, delegittima vite private e carriere. Che per molto tempo ci ha travolti, tutti quanti, senza che vi fossero contromisure efficaci a limitarlo. Che non ha mietuto vittime solo tra i politici e le figure pubbliche. Ma ha ucciso adolescenti e giovani donne, e pochi giorni fa a Brescia ha portato al suicidio un vigile urbano preso di mira proprio sui social network.

Rispetto al 2014 oggi è più semplice discutere di certe cose: lungi dall’aver risolto il problema, abbiamo gli strumenti per capirlo, per denunciarlo, e anche per difendercene. La consapevolezza è già un’arma. Ieri pomeriggio, in un incontro a Scandicci organizzato dal Pd, la stessa Laura Boldrini ha riparlato di quegli anni: del dolore, della paura, dell’angoscia. «Carne viva», l’ha definita. Il punto è che il suo caso è servito a fare da spartiacque: c’è un prima e c’è un dopo Boldrini. Ed è anche grazie a lei se oggi possiamo parlare con cognizione di causa di «odiatori del web», «fake news», «leoni da tastiera». È anche grazie a lei se dall’odio incontrollato e diffuso sono nate le prime contromisure per arginarlo. Prima di lei, prima di quel «Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina», ancora non sapevamo fino a che punto potesse spingersi la gogna di internet. Soprattutto, prima di lei non potevamo capire che la questione delle offese social fosse un affare politico. Lo ha ricordato Boldrini stessa, ricostruendo un retroscena forse inedito ai più: «Come ha raccontato Nicola Biondo, nel 2014 capo della comunicazione del M5S, Casaleggio era consapevole che mi stava usando come un esperimento per capire gli effetti della Rete. Aveva capito che era la Rete a decidere la reputazione delle persone, e aveva usato me come cavia per vedere fino a che punto ci si potesse spingere per orientarne il pensiero, anche in chiave di consenso e poi di voti».

Una tecnica che abbiamo visto all’opera più e più volte negli anni a venire, e non solo da parte della Casaleggio&Associati. Sia chiaro: non è una questione di destra e sinistra, grillini o non grillini. Per parlare di certi argomenti con onestà intellettuale bisogna trascendere dal ring dei partiti, dalle strumentalizzazioni del politicante di turno. Del resto da quando esiste l’umanità esistono le gogne. Un tempo si consumavano in piazza o sui patiboli attrezzati per i roghi o le ghigliottine, oggi sugli schermi multimediali e globalizzati. Ma anche un tempo le gogne erano strumenti politici, e colpire le presunte streghe o i presunti eretici o i presunti nemici del popolo era solo un modo per riaffermare od orientare il potere. Pensando alla Boldrini e agli anni degli insulti, delle minacce, delle bambole gonfiabili a cui la terza carica dello Stato veniva paragonata (ve lo ricordate?) mi sono tornate in mente le vittime del passato, delle piazze reali. Anche allora la propaganda veniva fatta con le fake news, con le donne scomode accusate di parlare col demonio, o con le regine a cui si tagliava la testa attribuendo loro colpe che non avevano. Si raccontò di Maria Antonietta, mentre veniva portata alla decapitazione, che del suo popolo aveva detto: «Se non ha pane che mangi i croissant». Ci sono voluti due secoli per accertare che quell’infelice frase la regina di Francia non l’aveva mai pronunciata. Perché se le bugie hanno le gambe corte, le fake news le hanno lunghissime. Oggi come ieri.

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