Non rilassiamoci. Ma è tempo di fare progetti

La lotta al virus. Il commento del vicedirettore de La Nazione

Vaccino anti-Covid (Ansa)

Vaccino anti-Covid (Ansa)

Firenze, 27 dicembre 2020 - Dunque, partiamo. Oggi le autorità sanitarie cominciano a distribuire il vaccino anticovid anche in Europa, anche in Italia. Ogni regione, ogni città, ogni comunità ha il suo debuttante, un paziente zero. Il primo italiano, il primo fiorentino, il primo anziano, il primo operatore sanitario, il primo uomo o la prima donna. Prudenza, senso del pudore e il dovere di rispettare la memoria di 70mila italiani morti di covid impongono tuttavia di non festeggiare. Chiedono di guardare, piuttosto, al giorno in cui conosceremo finalmente il nome, il cognome e tutti i dati anagrafici non del primo ma dell’ultimo italiano ad essersi sottoposto alla profilassi.

Soltanto quello sarà il momento della svolta. Ora non è tempo di illuderci, ora dobbiamo rimanere estremamente concentrati. E fare in modo che i tempi siano stretti, ragionevolmente stretti. Perché questo fattore sarà fondamentale, soprattutto in un Paese che non ha fatto in tempo nemmeno a procurarsi la giusta quantità di vaccino contro l’influenza, in un’Italia troppo spesso paralizzata dalla burocrazia.

Più di un dettaglio lascia intendere che sia forte il rischio di perdere altri giorni preziosi. Che vuol dire: altri malati, altri morti, altro dolore. È vero che il vaccino debutta ufficialmente oggi, ma già sappiamo che la somministrazione di massa inizierà soltanto tra il 2 e il 4 gennaio, e ogni Regione seguirà un suo calendario. Esiste, poi, un oggettivo problema di approvvigionamento. Da verificare sul campo anche la capacità di tenuta della complessa macchina in allestimento per portare le fiale ovunque servano, e per somministrare le dosi nel modo corretto.

Folle dunque l’atteggiamento di chi vorrebbe rompere le righe già adesso, come se il caso fosse chiuso, come se il virus fosse ormai il passato remoto. Non si può fare, non si può rilassarsi solo perché si intravede una possibile via d’uscita: le mascherine restano fondamentali, il distanziamento resta importante, un sistema sanitario minimamente efficiente resta indispensabile per somministrare le cure e salvare vite. Certo, da oggi siamo autorizzati all’ottimismo. Ma l’ottimismo va usato con intelligenza e parsimonia. Magari per progettare un Paese nuovo, diverso e concretamente capace di mettere il cittadino al centro.