Istruzione bocciata

L'editoriale del direttore de "La Nazione"

Firenze, 14 luglio 2019 - Se, alla fine, sono i risultati che contano, quelli recenti, sull’efficienza della didattica e sulla preparazione degli studenti, non possono che confermare la nostra forte preoccupazione sullo stato della nostra scuola. Sia per il livello di preparazione degli studenti sia per la qualità dell’insegnamento, i due aspetti della stessa medaglia. Lo abbiamo più volte ripetuto nei nostri appuntamenti domenicali ma adesso lo diciamo anche più forte. Perché, lo sappiamo, dall’istruzione e dalla formazione dei ragazzi e dei giovani dipende il futuro del nostro Paese. E’ inutile girare intorno al problema che per l’oggi e per il domani è, nel nocciolo, questo.

Ci vuole poco a capire che la preoccupazione torna di stringente attualità quando leggiamo che la comprensione di un testo di italiano è un problema per il 35% degli studenti italiani di terza media. Il messaggio che emerge dai risultati dei test Invalsi 2019 è chiaro. Test che rivelano poi il divario tra nord e sud. I risultati peggiorano, infatti, se si scende nel Sud Italia dove l’italiano è un problema per il 50% degli alunni calabresi e per oltre il 40% degli alunni campani, siciliani e sardi.

Anche se, per consolazione, si riscontra, rispetto il 2018, un leggero miglioramento degli esiti complessivi. A questo punto, con i dati sui ragazzi alla mano, dobbiamo chiederci un po’ di cose. La preparazione e la formazione continua dei docenti sono adeguate o quanto meno sufficienti? I nostri docenti, dalle elementari alle medie, sono preparati? Quale è il loro livello? E ancora: è un livello periodicamente verificato? E ancora: i docenti italiani sono sufficientemente pagati per il compito che sono chiamati ad assolvere? Ma la scuola non è e non deve essere un mondo isolato, un mondo a parte. E’ struttura fondamentale nella nostra società e risente e riflette l’andamento dei costumi. Ebbene, i nostri giovani sono bravissimi con tablet e smartphone, molto meno con la lettura e con la penna. Che fare allora per scongiurare il compimento di uno scenario del tipo nativi digitali e analfabeti di ritorno? Crediamo che le famiglie abbiano un ruolo centrale e per questo devono intervenire. Non per proibire gli strumenti tecnologici, ma dando ai figli, regole chiare e precise.

Da osservare. I nostri giovani, di contro, leggono poco, anzi pochissimo, a partire dai libri per non parlare dei giornali. E’ invece leggendo che si arricchiscono vocabolario e cultura e attraverso i quali si apre la mente. E’ tempo di bloccare, insomma, una deriva per cominciare a correggere una rotta che può essere, nei risultati appunto, rovinosa per i ragazzi e per i giovani e dunque per la società tutta. Un ultimo appunto va fatto. Basta con le riforme spot e a getto continuo della scuola. E’ tempo di fermarci e di ripartire da quello che siamo, altrimenti ogni riforma genera solo confusioni, strabismi e ritardi invece che miglioramenti.