L'eredità di Zeffirelli

L'editoriale

Firenze, 23 giugno 2019 - Proviamo una volta tanto a contraddirci nel fare eccezione a quella “maledizione” diffusa, nella storia e nella società, del nessuno è profeta in patria, del non riconoscere i meriti dei nostri concittadini, pur nella libertà del giudizio ma anche senza pregiudizi. Proviamo dunque a farlo con Franco Zeffirelli per il quale si spera che, mutati i contesti e i contrasti, non si ripetano gli ostracismi che hanno accompagnato e colpito Oriana Fallaci in vita e dopo la sua morte. Il tempo che, come si sa, è un buon pagatore, ha fatto recuperare, seppur a fatica, il rapporto di Firenze con la Fallaci e, se del caso, lo farà anche con Zeffirelli. Il popolo dei fiorentini, orgoglioso di natura, ha da sempre onorato il maestro e continuerà a farlo. Semmai chi ha voluto non esaltare, diciamo così, il genio e l’estro di Zeffirelli è stata una certa cultura che ha vissuto di pregiudizi e radicalismi. E’ l’ora della riconciliazione collettiva. Su questa strada sembra già incamminarsi il sindaco di Firenze Nardella.

Grazie al presidente della Siae Mogol una sinergia sarà possibile con la Fondazione Zeffirelli per realizzare una Scuola internazionale delle arti e dello spettacolo. «Ora avanti per far conoscere il Maestro alle nuove generazioni di artisti» ha detto il primo cittadino. Sarebbe già un primo segnale significativo.  Per onorare un grande concittadino bisogna intanto fare tesoro di chi è stato Zeffirelli e ricordarsi di come è stato considerato. Più stima nei suoi confronti nel mondo che in Italia. La questione di fondo l’ha ricordata Gianni Letta, presidente onorario della Fondazione Zeffirelli: «Chi conosceva e frequentava Franco, sapeva che si portava dentro un cruccio: non riusciva a capire perché in tutto il mondo fosse accolto e celebrato come il simbolo del genio italiano, e come, nel suo Paese, nella sua città e nella sua patria, non tutti avessero la forza di proclamarlo e di riconoscerlo». Già, ci domandiamo, perché? Perché per natura ha sempre detto le cose come stavano e spesso era «contro». Lui se lo poteva permettere. Anche perché non doveva dire grazie a nessuno non avendo, nella libertà del suo genio, né padroni né padrini.

E’ indiscutibile che Franco Zeffirelli sia innanzitutto un patrimonio culturale fiorentino, e poi italiano e del mondo che già lo ha celebrato a differenza, appunto, della sua patria. Che almeno la sua morte favorisca la riconciliazione, auspicabile e necessaria. Il luogo deputato? La sede della Fondazione in piazza San Firenze a pochi passi da Palazzo Vecchio. Quella istituzione diventi il punto di riferimento delle iniziative nel nome suo e della sua opera. 

Voglio ricordare anche che Franco Zeffirelli era anche uomo di grande Fede. Lo ha sottolineato molto bene il cardinale Betori durante i funerali: «La vita che Franco Zeffirelli porta con sé davanti al Signore è quella di un uomo di cultura, di un artista. E nell’espressione culturale e artistica la Chiesa riconosce una modalità alta della vocazione dell’uomo alla trascendenza e quindi un’esperienza che si intreccia con il cammino della fede». Ripartiamo da questa grandezza di uomo di Fede e di Cultura per tramandare Zeffirelli a tutti, senza pregiudizi.