Ma cosa aspetta il centrodestra a scegliere?

L'editoriale della direttrice de La Nazione

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 19 gennaio 2020 - Centrodestra, hai un problema! Che poi è lo stesso di pochi mesi fa, lo stesso delle amministrative toscane targate 2019. Il problema si chiama lentezza, una parola drammatica nella politica contemporanea, e che nel vocabolario degli elettori si traduce in: mancanza di alternative, incertezza, eccesso di tatticismo. Per gli elettori più maliziosi si traduce addirittura in versioni semantiche ancor peggiori: melina, complotto, perditempismo (un peccato, quest’ultimo, quasi imperdonabile alle urne). Siamo oltre la metà di gennaio e ancora non c’è il candidato governatore per la coalizione che mette insieme Lega, FdI e Forza Italia, una corazzata che sfiora il muro del 50% nei sondaggi nazionali.

Il sovranismo col vento in poppa dovrebbe galvanizzare politici e votanti per questa sfida elettorale che si preannuncia incerta, ed è la prima volta che succede nella storia di una regione governata per 70 anni dagli stessi uomini e partiti, più o meno. E invece sembra prevalere a destra uno spaesamento di forze e voglie e motivazioni non meglio giustificabile. Gli avversari hanno già ampiamente individuato il candidato in Eugenio Giani, espressione di un Pd moderato che guarda al centro e che ambisce a conquistare anche un elettorato non strettamente piddino: domani Giani partirà con la campagna elettorale da San Miniato.

Il centrodestra rimanda invece al dopo elezioni in Emilia Romagna, quindi è realistico che il nome del prescelto (o della prescelta) non ci sarà fino alla metà di febbraio, dando a Giani oltre un mese di vantaggio: tantissimo. Perché questa frenata? Proprio Salvini, in autunno, era partito in direzione ostinata e contraria: «Non commetteremo l’errore fatto per le ultime amministrative a Firenze, Livorno e Prato: allora la scelta del candidato arrivò troppo tardi, compromettendo il risultato. Il 30 novembre, durante una grande cena al Tuscany Hall, scioglieremo le riserve sul nome da lanciare» (La Nazione, 8 novembre 2019). La grande cena in effetti ci fu, ma di candidati non si parlò. Né in quel momento, né in altri a venire, dando così forza alle letture dei retroscenisti di professione. Ma noi dobbiamo invece stare ai fatti, e i fatti dicono che l’ossessione emiliana («aspettiamo l’Emilia», «vediamo come va in Emilia», «mettiamoci alla prova in Emilia») è francamente poco comprensibile. Intanto perché Emilia e Toscana hanno in comune solo il fatto di essere (state?) roccaforti rosse. Per il resto (economia, tradizioni, cultura) non possono certo venire considerate l’una paradigma dell’altra.

Vero è che l’esito del voto del 26 gennaio potrebbe cambiare gli equilibri di forza all’interno del centrodestra stesso, dove una Lega ferma nei sondaggi si trova sempre più insidiata dalla Meloni e dai suoi Fratelli d’Italia, in volo oltre il 10% e pronti a battere cassa, magari anche nella nostra regione. Insomma, la destra che osanna gli audaci in Toscana rischia di morire di tattica.