Il virus dei negazionisti. La conoscenza è il solo antidoto alla malafede

L'editoriale della direttrice della "Nazione"

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 2 agosto 2020 -  Potevamo imparare almeno una cosa dalla tragedia chiamata covid-19: il senso della prudenza, che implica l’uso coscienzioso di quei famosi «dieci secondi» necessari a oliare i pensieri prima di parlare. Ovviamente abbiamo perso l’occasione. Ce lo dimostra l’ultima moda dell’estate, non dovuta ahimé alla calura e ai suoi effetti collaterali, bensì alla sfiducia endemica che noi italiani abbiamo nei confronti di tutto ciò che rappresenti l’istituzione: chiamasi Stato, chiamasi sanità, chiamasi scienza. Così eccoli spuntare come da pronostico, megafonati dai social network e da qualche intellettuale o sedicente tale: i negazionisti.

Da quelli che «il virus è un’invenzione dei poteri forti» a quelli che «se c’ero io al governo altro che lockdown». Sarebbe comunque sbagliato liquidarli come minoranza rumorosa. E la questione è del resto troppo complessa per meritare una sarcastica o snobistica alzata di spalle. Perché ha a che vedere con ciò che nel profondo siamo, ciascuno di noi, e con ciò che nel profondo la pandemia ha rappresentato e rappresenta, per ciascuno di noi. Questi mesi in compagnia del coronavirus hanno avuto un minimo comun denominatore: la paura. La paura è strettamente collegata alla conoscenza: abbiamo paura di ciò che non conosciamo. La paura è quindi anche il nostro più poderoso motore: quando conosceremo tutto, non avremo più paura di nulla. Il virus non lo conoscevamo, per questo ci faceva tanta paura. Per questo ci ha fatto sbandare e sbagliare. Fin dall’inizio, quando neppure la scienza aveva risposte univoche da darci, anziché attendere con prudenza (ecco la famosa parola, la prudenza) dati migliori, tutti noi ci siamo affannati a sposare una teoria piuttosto che un’altra sulla genesi e sulla diffusione e sulla cura di questo virus. Spaccati in maniera ben poco scientifica, ma esclusivamente emotiva, tra chi ne sminuiva la portata a prescindere e chi al contrario pronosticava la fine del mondo. Ci siamo insomma scannati su delle emozioni, su delle reazioni di pura pancia, perché il punto è che nessuno aveva e ha certezze granitiche. Chi vi offre e chi vi ha offerto verità inoppugnabili, oggi come allora, è semplicemente in malafede: la conoscenza ha bisogno di tempo, di costanza, soprattutto di prudenza. E allora so che suona male, so che può essere deludente ed esasperante, ma è ancora troppo presto per poter dire «non abbiamo più paura»: nel frattempo, mettiamoci almeno le mascherine.