La sindrome del logoramento perenne

ll governo, Salvini e il virus

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 25 aprile 2021 - La politica a passo di danza. Un piede dentro, due fuori, piroetta, mezzo piede dentro, mezzo fuori. Il ritmo del consenso richiede prestanza fisica e allenamento: lo sanno bene Matteo Renzi e Matteo Salvini. Come il suo omonimo ai tempi del Conte Bis, anche il Salvini del governo Draghi non ha deciso da che parte vuole stare. Così le battaglie salviniane di questi ultimi giorni (contro Speranza prima e sulle riaperture poi) se possono essere legittime nella sostanza, risultano contraddittorie nella forma: un piede dentro, due fuori, e poi si ricomincia.

Il punto è come sempre la politica della campagna elettorale permanente, condanna dei nostri tempi: Salvini è entrato nel governissimo puntando tutto sulla scommessa di una rapida ripartenza, tale sembrava dovesse essere all’arrivo di Draghi, due mesi fa. Ma ha quasi subito dovuto fare i conti con l’inevitabile lentezza richiesta alla gestione di un tempo tanto complesso come il nostro, con poche formule e soluzioni a facile portata di mano, e con un’azione di governo spesso inevitabilmente ancorata a una sostanziale continuità con quello precedente.

Così Salvini, che con difficoltà ha fatto digerire alla sua base l’importanza di entrare nella mega maggioranza con i 5 Stelle e la sinistra, oggi si trova a fare i conti con il calo nei sondaggi (la Lega è ormai scesa al 22%, mentre Fratelli d’Italia veleggia verso il 18%) e con un’arma in meno rispetto a quella che aveva Renzi contro la corazzata giallorossa: i numeri di Salvini non sono determinanti per l’esistenza in vita di questo governo. Certo, se la Lega dovesse sfilarsi, e se a seguirla a ruota fosse Forza Italia, a quel punto per Draghi sarebbe difficile mantenere la credibilità di un governo nato sul principio delle larghe intese e orfano del centrodestra. Ma il clima di logoramento perenne inizia a risultare insopportabile in un Paese affamato di solidità.

Fatemi pertanto chiudere con una nota d’ottimismo, fuori dal grigiore del Palazzo: perché domani si torna gialli, dopo un tempo che ho smesso di contare ma che per tutti è stato mestamente uguale, avvilente e faticoso, e quindi mi concedo il lusso di sentirmi contenta, seppellendo polemiche e malumori. Tra ventiquattro ore potremo sorseggiare caffè al bar senza doverlo trangugiare chiusi in macchina, e potremo sedere a un tavolo all’aperto, riscoprendo che la normalità negata per tanti mesi vale un sogno ad occhi aperti. Dopo quattordici mesi di pandemia, anche sentirsi per cinque minuti felici è un piacere che nessuna bega politica ci può negare.