La decrescita è infelice

L'editoriale del direttore de La Nazione

Firenze, 31 marzo 2019 - Le ombre sull’economia che si temevano sono arrivate. E se anche il ministro Tria ha abbassato la soglia delle prospettive per la tenuta dei conti con l’Iva che torna nel mirino, non possiamo non essere ancor più preoccupati per il futuro del nostro territorio, del futuro dei nostri figli e oggi anche dei nipoti. Se d’altronde in Italia si blocca anche quello che si è già deciso non è che ci si possa aspettare un risultato diverso. Ci sono 26 miliardi per opere già finanziate che sono ferme. Dico ferme, mentre arriva l’allarme inquietante di Confindustria che sostiene che l’Italia è in “ipoteca”, con il presidente Boccia che ripete in ogni occasione: aprite i cantieri, aprite i cantieri. Non ci resta che ricordare che i nostri territori aspettano il via libera per i lavori della Grosseto-Fano, della Livorno-Civitavecchia, della Orte-Ravenna, del passante Tav di Firenze, opere pubbliche delle quali si parla dai primi anni Duemila. Che sono tutte storie di infrastrutture che vanno a passo di lumaca per uno dei Paesi che vuole continuare a correre nel G7. Bella pretesa.

In settimana è arrivato l’allarme di Confindustria a suon di numeri inquietanti. L’economia italiana rimarrà ferma per tutto questo 2019. E nel 2020 sono già “ipotecati” i conti pubblici. Confindustria corregge al ribasso dello 0,9% le sue stesse stime prevedendo crescita zero per quest’anno e un “esiguo” +0,4% tra 12 mesi. Pesano “il progressivo crollo della fiducia delle imprese” da marzo, oltre al pesantissimo calo della domanda interna. Che fanno da corollario ad una occupazione “piatta”. Altro che decrescita felice, siamo alla piena e profonda infelicità. E nei dati economici fino a gennaio non si intravede nessun segnale di inversione. Se per il 2020 la recessione verrà evitata, sarà solo grazie all’export mentre per i conti pubblici si aprono scenari nerissimi.

Il motivo? Se si volessero annullare gli aumenti Iva e attivare la correzione del bilancio strutturale, servirebbero ben 32 miliardi di euro, ma senza le risorse per la crescita. I rimedi insomma sarebbero pesanti. Ecco allora che il governo, spiega Confindustria, ha di fronte a sé opzioni “non indolori”. Per la prossima Legge di Bilancio le alternative sono due: far scattare gli aumenti Iva o annullare a debito le clausole e far salire il deficit pubblico al 3,5%. Con aumento dello spread ed effetti recessivi. Come in un Paese sudamericano.

L’altro giorno anche la Cisl ha offerto un quadro altrettanto preoccupante di quanto la Toscana non decolli: sbloccando e portando a compimento le infrastrutture già autorizzate e finanziate nella nostra regione si avrebbe nei prossimi cinque anni un impatto complessivo sul Pil di circa 8 miliardi di euro e si creerebbero 116mila posti di lavoro (23.200 all’anno) per tutta la filiera nella fase di cantierizzazione. E allora ecco che a un Paese industrializzato servirebbe la famosa scossa a cominciare dalla revisione del contratto di governo. Invece? Si vivacchia e si litiga aspettando le elezioni Europee. Ma non si può credere che gli italiani si faranno ‘abbindolare’ da sconti e rimborsi sulle bollette.