Alle urne con la pandemia. Quanto peserà il virus su questo voto

L'editoriale della direttrice de La Nazione

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 20 settembre 2020 - Una variabile si aggira su queste elezioni, ed è la variabile virus. Oggi che siamo chiamati alle urne dobbiamo essere consapevoli di questo: è il primo voto della nostra epoca con una pandemia in corso. Un primato assoluto. La famigerata influenza Spagnola del 1920 si consumò in un tempo in cui il suffragio universale era ben di là da venire: nell’ottobre di quell’anno, in Italia, si votò per le amministrative, curioso parallelismo coi nostri tempi. Ma al seggio potevano andare solo i maschi maggiori di trent’anni d’età. È dunque, quella di oggi, la prima prova democratica segnata da un virus collettivo e globale: invita perciò, tutti noi, a una responsabilità maggiorata, a una riflessione più profonda sull’importanza di ciò che siamo chiamati a fare. 

Con una domanda, a cui adesso non possiamo ancora rispondere: quanto inciderà il Covid su queste elezioni settembrine? E come agirà – perché inevitabilmente agirà – sulle nostre scelte, sull’affluenza, sulla capacità di condizionare in un senso o nell’altro il voto? Domani sera, quando dovremo analizzare i risultati, decretare ufficialmente vincitori e vinti delle regionali da un lato e del referendum costituzionale dall’altro, anche a questo dovremo pensare: a come il coronavirus avrà impattato su una chiamata alle urne inevitabilmente storica, a come il popolo che ha vissuto e sta vivendo la pandemia sarà riuscito a metabolizzarla in misura sufficiente ad affrontare convinto e consapevole la prova dell’urna.

I suoi effetti si sono già visti, declinati in numeri che fanno statistica: in Toscana un terzo dei presidenti di seggio ha rinunciato al ruolo, inviando un certificato, ma la percentuale diventa più acuta in altre Regioni, sfiorando il 70%. E allora: quale presa avrà la paura sull’affluenza? E chi favorirà tra centrosinistra e centrodestra? Qual è il colore politico del virus? È quello degli arrabbiati o degli impauriti? Degli scettici o dei responsabili? Se a gennaio, durante le ultime elezioni regionali che videro trionfare Bonaccini in Emilia Romagna, la variabile indipendente sul voto fu rappresentata dallo tsunami-sardine, sette mesi dopo abbiamo il Covid a fare da spartiacque. L’unico antidoto democratico in nostro possesso è quello che ha guidato i comportamenti e le scelte fino ad ora: munirsi di mascherina, pazienza, distanze, buon senso. Ma rinunciare al voto è una resa: il suo valore è pari a quello che avrebbe avuto rinunciare a riaprire le scuole. Convivere col Covid significa anche avere il coraggio, unitamente al senso di responsabilità, di andare al seggio: oggi il diritto di voto vale doppio. Vale il sentirsi parte di una comunità libera e democratica. E di una comunità che al tempo stesso sa resistere al virus, senza farsene sopraffare. Buon voto, buona democrazia a tutti.