Firenze, 26 maggio 2020 - Facciamo in modo, per favore, che possano vedersi: con la mascherina, dietro il banco o nel cortile, al chiuso dell’atrio o nel giardino, all’aperto, a orari scaglionati per contenere la paura del contagio. Giustissimo. Ma facciamo in modo, per favore, che possano ritrovarsi almeno per un giorno questi bambini, questi ragazzi a cui la pandemia ha rubato un pezzo di vita.
Ha rubato i gessi e le lavagne, le sveglie all’alba e le colazioni con gli occhi socchiusi, gli zaini pesanti e la fatica. E insieme a questo – che a qualcuno, nei primi giorni del lockdown, ha fatto tirare un sospiro di sollievo – ha rubato anche tutte le emozioni delicate, violente e sempre densissime che sopravvivono giusto il tempo di un’infanzia, di un’adolescenza. Per poi restare per sempre. Allora, dopo esserci infuriati e doverosamente preoccupati per tutti – per le imprese e i negozi, i locali e i ristoratori, le fabbriche e le palestre e i cinema – regaliamo ai nostri ragazzi e ai nostri bambini un giorno di scuola.
L’ultimo, magari, come da Firenze ha chiesto il sindaco Dario Nardella. L’ultimo o il penultimo che sia, poco importa: facciamo questo dono a chi si è visto portare via un parte di ricordi, di brutti e di bei voti, di paure ansie e trepidazioni, di amicizie, di baci e di sorrisi, di scoperte e di amori, di merende condivise e magari di sigarette fumate di nascosto: va bene, fumare non si può e soprattutto fa male, ma fa più male il divieto anche solo di immaginare la trasgressione. Nessuno restituirà a questi ragazzi i sedici anni. O i sei, i sette, gli otto. Ma noi facciamo almeno il minuscolo gesto di riportarli insieme per un giorno, in questo 2020 disgraziato. Lo dobbiamo a loro, ma soprattutto a noi stessi: agli adulti che oggi siamo, e ai bambini che siamo stati.