Se viene meno la certezza di essere curati

L'editoriale della direttrice della "Nazione"

Agnese Pini

Agnese Pini

Firenze, 24  novembre 2019 - Solo una cosa mi fa più paura dell’idea di morire: è l’idea di stare male, è la malattia. Mi fa più paura perché la malattia ci accompagna: la vediamo, la tocchiamo, la sentiamo su di noi o sugli altri, sui nostri cari. Così stare male, soffrire, scoprirsi improvvisamente soli smarriti piccoli (ci si sente addirittura minuscoli nel dolore, fisico e non) è ciò che più di tutto riduce l’essere umano alla sua condizione di impotenza. Ecco che cosa è la malattia: è scoprire che se fino a quando si stava bene tutto era possibile, improvvisamente non lo è più. È scoprire che non possiamo più fare tutto, non siamo più liberi di disporre di noi stessi – del nostro corpo, della nostra intelligenza – come potevamo fare prima. Con il peso insopportabile di una tormentata domanda: guarirò? 

Spesso non esiste la certezza della guarigione (e allora ci si affida alla medicina pseudoalternativa, alle pozioni magiche, ai ciarlatani, al dottor Google), ma le società moderne, le società cosiddette evolute e progredite sono diventate tali nel momento in cui è stata data alle persone la certezza della cura. Alla base dei sistemi sanitari efficienti c’è una grande, illuminata e meravigliosa promessa: non possiamo assicurarvi che sarete guariti, ma vi assicuriamo che sarete curati. Nella sofferenza, la certezza della cura è l’unica garanzia di civiltà, di lungimiranza, di fratellanza sociale. Ricordate quando si diceva: «L’Italia è un grande Paese perché ha una grande sanità pubblica, perché tutti possono accedere alle cure». Mai come oggi – dopo decenni di relativa serenità – tutti noi sentiamo scivolare via di mano la certezza della cura: lo scricchiolare del welfare, la crisi economica, la mancanza di dottori, la necessità di ridurre le spese. Tutto questo ha portato, sta portando anche regioni come la Toscana a fare i conti con la venuta meno di un sistema di certezze che era ormai dato come acquisito, e granitico. Oggi, anche in Toscana, accedere alle cure, capire come fare, potersele permettere (a livello economico, ma pure culturale e sociale) non è più scontato ed è tutt’altro che semplice. La riforma sanitaria di cui si discute – il taglio dei medici sulle ambulanze, la riduzione dei volontari in servizio – al di là di quelle che saranno le applicazioni pratiche, ottiene un tragico effetto psicologico: fa sentire ancora più soli i malati. Quindi i più deboli. Quindi, gli ultimi.