Siamo il Paese delle task force. E nessuno decide

L'editoriale della direttrice

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 19 aprile 2020 - E dunque è così: siamo stati bravi, abbiamo imparato a stare a casa e a stare in coda, a mettere la mascherina e a rinunciare ai parchi giochi, perfino i podisti hanno imparato a sgambettare vicino casa, e i bambini a lamentarsi il meno possibile.

Abbiamo fatto i cori dai balconi, messo gli striscioni alle finestre, disegnato arcobaleni, composto poesie, sfornato milioni di pizze, rinunciato alla brioche del mattino e all’espresso macchiato, abbiamo dimostrato di essere fiduciosi e pazienti e generosi, infine ci siamo riscoperti tutti – ciascuno di noi negli occhi dell’altro – un Paese migliore di come i cinici, gli sciacalli, i disfattisti e gli invidiosi dipingevano. 

Così adesso che si parla di ripartire, ci sono solo due cose che l’Italia travolta dal coronavirus chiede, e sono le cose che clamorosamente mancano: decisioni e chiarezza.

Noi invece siamo, al momento, solo il Paese delle task force, una parola talmente abusata da essersi ormai svuotata di significato, l’azzeccagarbuglismo in chiave contemporanea: il governo ha la sua task force per l’emergenza, ogni ministero ha a sua volta una task force, le task force le hanno le Regioni e i perfino i Comuni, per non parlare dei partiti, dei comitati scientifici, delle associazioni di categoria.

Le task force si smentiscono fra loro, fanno e disfano, propongono date di riapertura e subito le confutano. Al punto che venerdì a tarda sera perfino il Governo è dovuto intervenire contro «le fughe in avanti che generano solo confusione».

Peccato che queste fughe – si parlava dell’ipotesi di riaprire i bar già il 4 maggio – arrivassero proprio dal nuovo comitato di esperti creato dal Governo stesso. Insomma: troppi dicono la loro sul paziente-Italia, ma pochi vogliono prendersi la responsabilità di scegliere una terapia salva vita.

Siamo ancora alla politica del rinvio, segno di una classe dirigente debole e in fondo sempre uguale a se stessa, esattamente come la ricordavamo prima della pandemia.

Con una differenza: gli errori dell’oggi non potranno essere perdonati, e la paura di sporcarsi le mani traghettando un Paese a rischio default (lettura malevola: ci sono pur sempre le elezioni regionali, solo rimandate rispetto alla data primaverile) fa sì che tutti critichino, ma pochi abbiano voglia di prendersi sulle spalle la nazione.

Il premier Conte, in tutto questo, sembra davvero un uomo solo. I rimpalli del suo governo lasciano spazio al decisionismo delle Regioni, fatto di fughe in avanti talvolta inopportune e di un pullulare di ordinanze (per dire: la Toscana ne ha emanate 38, dico, trentotto, dall’inizio della crisi) che vanno a riempire i vuoti ma solo parzialmente, aumentando il senso di straniamento dei cittadini. Che una cosa sì l’hanno dimostrata, in queste settimane: sono migliori dei loro politici. Speriamo che qualcuno ne renda loro merito.