Aziende vitivinicole toscane: è crisi da post lockdown

A lanciare l'Sos è l'analista dell'economia delle aziende vitivinicole Leonardo Comucci, che reclama il decreto applicativo Mipaaf da parte del Governo

Leonardo Comucci

Leonardo Comucci

Firenze, 14 luglio 2020 - “Le aziende vitivinicole italiane stanno pagando care le conseguenze della pandemia”. A portare dati e stime sulla perdita di fatturato del settore vino nel nostro territorio è l'analista dell'economia delle aziende vitivinicole Leonardo Comucci - presidente dell'Associazione Il Santuccio -, che in un'intervista a La Nazione spiega le gravi difficoltà delle aziende toscane dinanzi ai nuovi lockdown internazionali e alle preoccupazioni per la seconda ondata di Coronavirus ipotizzata per il prossimo autunno. “Ad oggi - sono le parole di Comucci - si può ragionevolmente stimare in circa 2 miliardi di euro la perdita di fatturato del settore vino, dovuta alla diminuzione delle vendite sia nazionali che estere, ossia circa il 20- 25% in meno rispetto al 2019. Per quanto riguarda le previsioni per il resto del 2020 - continua l'analista -, partendo dal fatto che le esportazioni italiane di vino si ridurranno in linea con la caduta del commercio mondiale ipotizzata dalla Wto (-15% nel migliore scenario e -30% nel peggiore), si può stimare una contrazione per il solo export dei maggiori produttori italiani compresa tra 0,7 e 1,4 miliardi di euro”. Previsioni certamente poco felici, cui secondo l'esperto vanno sommati i dati derivanti dall’azzeramento dell'enoturismo “In assenza di turisti stranieri provenienti dagli stati più ricchi -continua Comucci- le aziende si trovano di fronte alla scelta se aprire o meno, a fronte della forte contrazione della vendita diretta, dei gravi costi per la sanificazione degli ambienti, delle difficoltà logistiche per la vendemmia e per il reperimento dei lavoratori stagionali e, non ultimo, dei problemi di liquidità e di giacenza dell'invenduto”.

In assenza di aiuti pubblici, l'effetto Covid-19 sul settore italiano del vino rischia di lasciare sul campo molte delle aziende che non sono in grado di capitalizzarsi attraverso finanziamenti dei soci o delle famiglie che le gestiscono spesso da generazioni. "Purtroppo, nonostante il Governo avesse giustamente compreso nel Decreto Cura Italia anche il settore del vino tra quelli autorizzati al così detto “pegno rotativo”, con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale lo scorso 17 marzo, a distanza di quasi quattro mesi non ha ancora emesso il decreto applicativo del Mipaaf, creando problemi notevoli alle aziende in termini di liquidità. Il vino in affinamento infatti non è qualcosa con un prezzo facilmente quantificabile, ma è piuttosto un prodotto che varia molto in base alla tipologia, all’annata, all’invecchiamento. Elementi che possono incidere in maniera rilevante sulla valutazione del magazzino e quindi sulle garanzie”. Molti Consorzi, pur in attesa del decreto per la valutazione delle suddette garanzie, per non soccombere si sono già mossi. “Tra questi il Consorzio Vino Chianti Classico, che ha già siglato un accordo con un primario istituto di credito garantendo la possibilità ai suoi viticoltori di accedere al credito pur con il vino in cantina. E sempre per venire incontro alle esigenze delle aziende vitivinicole sarà possibile stoccare i prodotti del vino fuori dalla zona di produzione, anche se sempre nelle province di Firenze e Siena e per un periodo limitato. Altrettanto interessante e probabilmente da replicare per altre tipologie importanti di vino -continua Comucci- è il posticipo di tre mesi dell’immissione al consumo dell’annata 2019, che potrà essere presente sul mercato solo a partire dal 1 gennaio 2021 e che potrebbe consentire di ridurre almeno in parte il vino rimasto invenduto in cantina. Il Consorzio del Brunello di Montalcino poi, senza aspettare il decreto Mipaaf ha già siglato con un altro istituto di credito una convenzione per l’attivazione di una linea di credito a favore delle aziende socie per finanziamenti fino a 150mila euro da restituire in 10 anni”.

Ma se i produttori privati sembrano intenzionati a non darsi per vinti, resta di fatto la necessità di un intervento governativo. “Sarebbe necessario che questo Governo tutelasse maggiormente il Made in Italy anche in sede europea. Il sogno -auspica Comucci- sarebbe proprio quello di vedere lo Stato al fianco delle aziende che hanno saputo sempre dare la giusta rilevanza alle qualità dei prodotti senza mai vendere sottocosto, ossia senza sfruttare i lavoratori”. Con l’arrivo dell’estate qualche timido segnale di miglioramento soprattutto per il consumo nazionale si è iniziato a vedere “Molto differenziato però - puntualizza l'analista - tra chi produce vini bianchi ormai in crisi per l’invenduto dei mesi di marzo e aprile e i produttori di bollicine che invece vedono previsioni meno negative. Su queste stime incide la maggiore stagionalità dei vini spumanti, le cui vendite crescono in misura significativa soprattutto in corrispondenza del periodo estivo e delle festività di fine anno, data in cui si auspica il pieno superamento della crisi sanitaria”. Tra i due estremi si collocano i vini rossi di fascia premium, soprattutto quelli più strutturati e capaci di un lungo invecchiamento nel tempo che, pur avendo subito la forte contrazione legata ai ristoranti nei due mesi di lockdown italiano e ancora presente in alcuni degli stati esteri consumatori, sperano di non subire grandi contrazioni nelle vendite. Continua invece la crescita dei vini rosati, seppur legata a un fenomeno di moda e sempre tendenzialmente di nicchia. Anche i dati più positivi però -puntualizza l'analista- possono modificarsi velocemente in peggio qualora si assista a nuove chiusure e lockdown, non solo in Italia ma soprattutto nei maggiori paesi consumatori di vino italiano, come America, Canada, Gran Bretagna e Germania”. Preoccupante anche la situazione delle tipologie di vino considerate importanti come il Brunello di Montalcino, che entro fine anno rischia una contrazione delle vendite tra il 20 e il 30% rispetto all’anno precedente. “Il dato che fa riflettere - spiega Comucci - è che circa il 65% delle vendite nazionali per questo vino è veicolato da canali diversi dalla grande distribuzione e dalle vendite on line, che pur hanno subito un fortissimo incremento, ma che non sono sufficienti da sole a bilanciare le perdite derivanti dalla chiusura dei ristoranti e dell’enoturismo straniero di fascia alta. Caterina Ceccuti