Monoclonali anti Omicron in Toscana, "Eviteranno forme severe del virus"

Siena, alle Scotte trenta nuove dosi contro la variante. L’annuncio di Mario Tumbarello, direttore di Malattie infettive. Saranno impiegati su pazienti fragili

Siena, 22 gennaio 2022 - «L’idea della politica mondiale è quella di imparare a convivere con il virus, senza fermare i Paesi, l’economia, il lavoro, la società tutta. L’esperienza attuale ci dice che stiamo entrando nel terzo anno con il Sars Cov-2, dunque la speranza che il virus possa sparire da un momento all’altro è smentita dai fatti. Questo vuol dire che dovremo farci trovare pronti a eventuali nuove ondate e a nuove varianti. Allora la nostra arma migliore per ostacolare la diffusione del virus resta la prevenzione, il vaccino. Poi ci sono nuovi farmaci che servono ad evitare rischi di evoluzione verso forme severe della malattia in alcuni pazienti più a rischio. Ma non riducono la circolazione del virus".

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La lettura dell’attuale contrasto alla pandemia è del professor Mario Tumbarello, direttore Malattie infettive e tropicali dell’Azienda ospedaliero universitaria Senese e docente dell’Università degli Studi, che annuncia l’arrivo alle Scotte di nuove scorte di monoclonali aggiornati per la variante Omicron.

Professore, si può parlare comunque di cura del Covid? Oggi alle Scotte utilizziamo sia antivirali, le pillole Merck, che i monoclonali. Sono farmaci utilizzabili per alcune determinate categorie di pazienti, individuate da Aifa: pazienti a rischio di sviluppare una malattia grave, come possono essere i pazienti oncologici, gli immunodepressi, chi ha diabete scompensato, o altre patologie che li espongono a maggiori rischi in caso di contagio del virus. Si parla dunque di due categorie di farmaci diverse, nel modo di utilizzo e nell’efficacia? Entrambi si utilizzano su soggetti per così dire ‘fragili’, ovvero a rischio di sviluppare forme gravi della malattia, ma comunque in fase iniziale, entro 5-7 giorni dalla positività del tampone. I pazienti devono dare il consenso alla terapia: vengono intercettati dai medici di medicina generale o dalle Usca che li informano della possibilità della cura al momento del tampone positivo. Per quanto riguarda la somministrazione gli antivirali sono pillole da prendersi per bocca: il paziente viene in ospedale, viene informato, firma il consenso ed ha la confezione di 40 compresse da prendere poi a casa in 5 giorni. I monoclonali invece sono somministrati per via endovenosa, con una sola infusione da fare in ospedale. E l’efficacia? I monoclonali sono disponibili dal marzo dell’anno scorso, con autorizzazione Aifa e distribuzione fatta dalla struttura commissariale: alle Scotte abbiamo trattato più di 250 pazienti, con una buona efficacia nel 70-80 per cento dei casi. Gli antivirali invece sono arrivati a inizio gennaio: in Italia è stato autorizzato l’uso delle pillole Merck e fra un po’ arriveranno anche quelle prodotte da Pfizer. Noi abbiamo avuto una prima fornitura di 20 confezioni, che abbiamo finito, e un’altra da 40. Ma i numeri e i tempi (solo due settimane dal via della somministrazione) non ci consentono di fare valutazioni sull’efficacia.; comunque non ci sono giunte segnalazioni di effetti collaterali. I monoclonali ad oggi restano più provati ed efficaci. Ci sono tanti pazienti che si sottopongono a queste cure? Abbiamo appena ricevuto 30 nuove dosi di monoclonali efficaci anche sulla variante Omicron del virus. La prima versione dei monoclonali è quella che in America è stata somministrata anche al Presidente Trump. Poi però il virus è mutato e ora sono disponibili nuovi monoclonali. Qui sta un’altra sostanziale differenza fra antivirali e monoclonali: i secondi si legano alla proteina Spike del coronavirus, impedendo al virus di penetrare nelle cellule dell’organismo e infettarle; invece le pillole agiscono sul meccanismo di replicazione del virus. Dall’uno all’altro farmaco cambia il bersaglio: questo fa sì che alcuni monoclonali possano essere efficaci su una variante del virus e meno su un’altra.