Nel giacimento dorato del Mugello. Dove dalla terra si estrae il metano

Viaggio a Pietramala: qui il gas per auto costa 1,20 euro al chilo. "Vengono persino da Bologna a rifornirsi"

Firenzuola (Firenze), 27 marzo 2022 - Sembravano i soffi del demonio ai pastorelli d’un tempo quei fuochi che sbuffavano dal corpaccione di questa montagna, incastrata tra due terre, di lingua meticcia dove l’asciutto toscano si spolpa curva dopo curva arrampicandosi verso il passo della Raticosa dopo esser stato ingrassato dal romagnolo firenzuolino.

Sembravano sbuffi dell’inferno alla gente semplice di fine Settecento tanto che, raccontano qui, "qualcuno lasciava di notte, nel bosco, dei regali al Diavolo". Pietramala, mala pietra, cioè pietra maledetta. Tutto così finché non fece capolino da queste parti un certo Alessandro Volta che razionalizzò il popolo: "Fermi tutti, macché demonio. Io me ne intendo, qua sotto c’è il gas...".

Cominciò così l’avventura energetica di questa piccolissima frazione dell’Alto Mugello, in provincia di Firenze per sbaglio, che oggi il metano se lo pompa su dalle sue viscere ("Per l’ultimo pozzo andammo giù con la trivella per 802 metri, c’era anche la geologa") e se lo serve da sola. "Quanti automobilisti arrivano quassù di questi tempi? Uh, anche settanta, ottanta al giorno – dice con sorriso svelto Tiziano Zini, custode della piccola stazione color pastello del paese che sembra piovuta qui dal dopoguerra – .Vengono da Castel San Pietro, dal Mugello, ma pure da Bologna sa?". E conviene?

«Qui il metano costa 1 euro e 20 al chilo, in pianura mi dicono che ci sono stazioni dove viene anche 3 e di più". Pietramala si trovò nel secolo scorso, quando lo sfruttamento del giacimento diventò massiccio, una piccola fortuna tra le mani.

Perfino Mussolini s’arrampicò fin quassù e tenne il suo discorso, di fronte alla folla che sventolava bandiere giù al metanodotto, dalla vetta del Poggio che appunto si chiama Littorio mentre "donna Rachele, raccontavano i miei genitori, si riposava alla pensione Gualtieri che oggi non esiste più".

Nacque insomma qui il primo metanodotto d’Italia, al tempo fieramente autarchica, con due lunghi bracci di una cinquantina di chilometri l’uno pronti a servire da una parte Firenze – dove ancora oggi c’è la vecchia tubatura del gas ora utilizzata da Toscana Energia – e dall’altra Bologna. Oggi c’è Hera che attinge per rifornire alcuni comuni limitrofi.

«Abbiamo 26 pozzi in tutto qui a Pietramala – spiega Nicola Biancotti, responsabile dell’impianto – La nostra è una produzione limitata certo ma costante. Non è in esaurimento: la utilizziamo per il distributore per le auto, e in parte viene messa nella rete del metanodotto". Rispetto al passato la produzione è assai più bassa: si estraggono grossomodo 1500 metri cubi al giorno, e all’impianto bastano tre operai – che non di rado in inverno vanno "giù agli impianti con le ciaspole perché la neve viene giù tosta" – e un dirigente.

Eppure il paese, grossomodo duecento anime, dà quasi per scontato il tesoretto gassoso ("Han la cultura del diesel questi qua" scherza Tiziano) che pure, come racconta il sindaco di Firenzuola Giampaolo Buti, frutta per via delle royalties ottomila euro l’anno reimpiegate per la cura della fruzione. "Il metano è un bel servizio sì, ma guardi qua che problemi che abbiamo", dice una ragazza e indica la strada ’sbranata’ in questo primo sabato caldo da centinaia di motociclisti poco propensi a rallentare: "Non si può uscir di casa che sennò questi pazzi ci travolgono. Ma mi dica lei se si può vivere così?".