Le 30 zone nere dove s’annida il caporalato. Colpite anche Toscana e Umbria

L’analisi dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil. Contratti fuorilegge anche per produzioni italiane d’eccellenza

Lavoratori agricoli (Foto di repertorio)

Lavoratori agricoli (Foto di repertorio)

Firenze, 19 maggio 2022 - In provincia di Arezzo San Giovanni Valdarno, Valtiberina (Cortona, Sansepolcro, Badia), Valdarno Casentino (Poppi, Pratovecchio, Ortignano); in provincia di Firenze il Mugello; in provincia di Grosseto la zona dell’Amiata, Arcidosso, Marina di Grosseto, Scansano, Civitella Paganico, Cinigiano, Castel del Piano; in provincia di Livorno Venturina, San Vincenzo, Castagneto Carducci, Donoratico; in provincia di Siena l’area del Chianti, Castellina, Montecucco, Poggibonsi, Radda, Castelnuovo Berardenga. E ancora in Umbria in provincia di Perugia a Todi, Castel Ritaldi/Spoleto, Gualdo Cattaneo, Deruta, nella zona del Trasimeno. Sono queste le zone nere di Toscana ed Umbria dove si annida il caporalato agricolo.

Non solo il profondo sud (la Sicilia resta la regione più colpita), ma anche aree dove si produce merce d’eccellenza con alto margine di profitto. E’ il risultato a cui arriva, con una meticolosa ricerca, il V Rapporto agromafie e caporalato, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil: ha acceso i riflettori da un lato sullo sfruttamento lavorativo nel settore agro-alimentare e dall’altro sulle criticità dei rapporti di lavoro dovute a contratti ingannevoli (formalmente ok ma sostanzialmente penalizzanti) e a raggiri perpetrati a danno dei lavoratori.E’ di pochi giorni fa l’inchiesta della Guardia di Finanza di Piombino che ha smascherato il lavoro nero e lo sfruttamento nella costa sud della Toscana. Centinaia di braccianti agricoli assunti in modo irregolare, la maggiore parte a ‘nero’ con turni giornalieri di 16 ore di media per una paga di 2,5 euro l’ora, ferie miraggio, minacce di licenziamento e aggressioni verbali.

Indagini scattate su tre ditte toscane di frutta e verdura in Val di Cornia, tra Livorno e Alta Maremma. I tre titolari delle aziende sono stati denunciati per "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro", la norma che punisce anche il caporalato. La Toscana con 27 aree nere non è più un territorio impermeabile e ‘pulito’: se l’area nord della regione resta indenne dal caporalato, la zona sud è ormai colpita dal lavoro nero. Nella mappa dell’osservatorio Flai Cgil c’è l’area del Chianti ma anche il Mugello. Molte zone della profonda Maremma e la costa livornese e le valli aretine. Sotto osservazione le produzioni di frutta e ortaggi, ma anche del vino.

La rilevazione è il risultato dell’attività sul campo dei sindacalisti incrociando le operazioni delle forze dell’ordine e le denunce dei lavoratori. Secondo il rapporto sfruttamento, caporalato e mancata applicazione dei contratti si sono diffusi a macchia d’olio anche in aree dove si pensa ci siano produzioni d’eccellenza colpendo lavoratori sia italiani che stranieri."Episodi come quello della costa etrusca - spiegano Giovanni Mininni, segretario Flai Cgil nazionale e Michele Rossi, segretario generale Flai Cgil Livorno – evidenziano l’estensione del fenomeno dello sfruttamento e caporalato, da Nord a Sud, passando per regioni simbolo dell’eccellenza agroalimentare e dove l’agricoltura non è certo una ‘agricoltura povera’. C’è molto da fare, ma vogliamo cogliere segnali positivi" grazie "alle leggi, al lavoro delle forze dell’ordine, al presidio del sindacato e al coraggio dei lavoratori che trovano la forza di denunciare". (1 - continua)