A Vivian Lamarque il Premio di Poesia Cetonaverde

La poetessa ha ottenuto il riconoscimento per l'ultimo suo volume "Madre d'inverno". La cerimonia con i patron del premio, Mariella Cerutti Marocco e il marito Antonio Maria Marocco. A consegnare la targa il poeta Maurizio Cucchi, il presidente della giuria Guido Ceronetti. Ecco chi sono i vincitori della sezione giovani

Arnaldo Colasanti, Vivian Lamarque, Maurizio Cucchi

Arnaldo Colasanti, Vivian Lamarque, Maurizio Cucchi

Cetona (Siena), 15 luglio 2018 _  VIVIAN Lamarque, con “Madre d’inverno” (Mondadori, 2016), ha vinto il premio internazionale alla VII edizione di Cetonaverde Poesia, del quale è presidente Guido Ceronetti e che ha due sezioni: il premio internazionale e il premio poesia giovani. Vincitori di quest'ultimo per il 2018,  sono Lorenzo Babini, Simone Burratti, Clery Celeste, Agostino Cornali, Noemi De Lisi, Federica Gullotta, Francesco Iannone e Giovanna Cristina Vivinetto, che si  è aggiudicata anche il premio  per la composizione estemporanea.

A ideare e portare avanti il Premio sono Mariella Cerutti Marocco e suo marito Antonio Maria Marocco, sostenuti dalla loro Fondazione. Della giuria fanno parte Maurizio Cucchi (presidente), Mariella Cerutti Marocco, Arnaldo Colasanti, Giuseppe Conte, Milo De Angelis, Giorgio Ficara, Terry Marocco e Alberto Pellegatta. 

- Lamarque, dopo 16 anni torna con un densissimo volume e tornano anche i premi. Cosa ci ha portato di nuovo con “Madre d’inverno”? «Non mi ero accorta che fossero così tanti anni, non li avevo mai contati; scrivo le poesie e le accantono e un po’ le ricordo e un po’ le dimentico, ogni tanto le guardo, le correggo, ma non basta mai. Le mostrerei le pagine del libro, è uscito da soli due anni ed è già tutto zeppo di correzioni... Di nuovo? Non saprei, forse nulla. Forse è sempre la stessa storia, eppure i lettori l’hanno molto amato». - Le sue poesie: tanto di autobiografico... «Al termine delle presentazioni i lettori arrivavano uno alla volta a raccontarmi della loro di madre in corsia ospedaliera, a dirmi grazie per avergliela per un attimo restituita. Ho sempre il timore di essere troppo autobiografica ma i lettori mi rassicurano: leggendo Vivian leggono se stessi. Comunque basta basta infanzia nelle prossime poesie!» - Cosa c’è che non va nell’infanzia? «A 72 anni sarebbe ora, le pare? Persino l’infanzia dei miei nipoti Davide e Micol si è allontanata, hanno già varcato l’età successiva. Basta, il prossimo libro si intitolerà “L’amore da vecchia”, le piace questo titolo? A me sì, mi piace la parola vecchia, orribile la parola anziana. Siamo come dice Foscolo tutti una stessa “famiglia d’erba e di animali”... gli alberi possono essere grandi vecchi, non esistono alberi anziani». - Come cambiano i sentimenti in vecchiaia? «Un sentimento forte nella vecchiaia è quello della gratitudine. Difficile scoprirla da giovani. Una gratitudine smisurata, ma anche smisurata indignazione per quanto di iniquo è scorso sotto i nostri occhi nel sommarsi dei decenni. A proposito di gratitudine, naturalmente ne ho molta per Cetona, per l’ambito premio che mi ha assegnato, come fossi anch’io un po’ i grandi Seamus Heaney, Mark Strand, o Zagajewski. E’ bello essere circondata da cari “colleghi” come Maria Grazia Calandrone e Francesco Scarabicchi. E poi dai giovani poeti che ci faranno da staffetta».  - Lei ha vinto tanti premi, fin da giovane. «Sì, mi ricordo quando mezzo secolo fa ero io una di loro; la vecchia premiata al Viareggio 1981 era Maria Luisa Spaziani e io l’Opera Prima. Scrivevo ai grandi per sapere se i miei versi, come chiedeva Emily Dickinson, esistevano. Alcuni gentilmente rispondevano: Zanzotto con le sue leggendarie cartoline postali, Raboni con la sua bella grafia.  Meritori oggi Mariella e Antonio Cerutti Marocco con la loro Fondazione e anche, da sempre a Milano, Maurizio, che tra l’altro mi ha consegnato il premio». - Le sue poesie sono cristalline, un distillato di apparente chiarezza. E allo stesso tempo “gate” che aprono a mondi e sentimenti insondabili e inafferrabili. Possibile che la poesia ci metta sempre di fronte a un abisso?  «Le rispondo con tre miei versi tratti da “Poesie dando del Lei”, scritte durante un percorso analitico junghiano. Il pronome “lei” è quello che ci si dà nelle sedute: la mia superficie è felice / ma venga venga a vedere / sotto la vernice». - Dolore e ironia. Per esempio, in “Poesie ospedaliere”, non sappiamo se ridere o piangere...Un modo per difendersi dalla sofferenza troppo acuta? «Sì, una difesa, facile da attuare con la penna, un po’ meno nella vita, ma a 72 anni ho imparato». - Che effetto le ha fatto tornare a Cetona? «Tra i ricordi legati a Cetona ho vivo  quello di Ceronetti che, uscito dal suo portone, scendeva verso la piazza avvolto in un manto scuro, rasente i muri, quasi una visione non appartenente al presente. Qualche giorno fa ho letto una sua bellissima intervista: dice che gli piacerebbe tanto, a questo punto della sua vita, rivedere, salutare il mare. Mi sono impressionata perché sono le stesse parole che pronuncia uno dei personaggi del mio poemetto “L’Albero”, presente anche in “Madre d’inverno”, (“.... mare mare gridava / voglio dirgli ancora una cosa / prima dell’eternità”). Sarebbe bello che il comune di Caorle, che sul suo lungo mare ha inciso questi miei versi e altri di diversi poeti contemporanei invitati a un loro Festival, invitassero qualche giorno Ceronetti, incidessero versi suoi e esaudissero il suo desiderio».