Denis Verdini, il ritratto del banchiere che ha sempre pensato in grande

Protagonista dietro le quinte della politica. L’ingresso nell’empireo del Cavaliere, il Patto del Nazareno, poi il Capitano stregato dalla figlia Francesca

Danis Verdini

Danis Verdini

Firenze, 4 novembre 2020 - Denis Verdini ha sempre pensato in grande. La 'banchina' di Campi Bisenzio era una definizione popolare, per lui era la banca, era motore di sviluppo ("Dove c'era terra, abbiamo fatto case, capannoni, strade") e trampolino di lancio, ma anche la sua seconda casa dove riceveva, ascoltava, prometteva. E man mano diventava sempre più potente. Guardato con distacco da Firenze, attirava sempre più 'amici' dalla vicina Prato degli imprenditori traditi dalla Cassa e non solo.

Pensava in grande Denis e lo dimostrava anche con piccoli gesti. A pochi selezionati clienti, oltre che ai soci nella sua stanzona da presidente dietro gli sportelli della banca, regalava dopo i colloqui sui divani marroni il libro di Giovanni Spadolini intitolato "Gli uomini che fecero l'Italia", volume edito in forma speciale per la Cassa Rurale ed Artigiana di Campi Bisenzio. Che orgoglio. Tiratura riservata con tanto di autografo stampato di Giovanni Spadolini, il suo totem iniziale.

In copertina Re Vittorio Emanuele II accompagnato dal conte Camillo di Cavour e dalla corte. Lui voleva essere re e primo ministro insieme, splendore e operatività, la corte la faceva fare ad altri. Lui non voleva essere uno tra tanti. Voleva emergere. Con la banca e con la politica. Soldi e agorà, una simbiosi che va avanti per Denis sin da giovane studente. Si laurea alla prestigiosa 'Cesare Alfieri', facoltà di Scienze politiche, segue il solco del prof Spadolini e si professa repubblicano. Poi si specializza e diventa dottore commercialista. Profilo emergente che fa al caso della banca di Campi quando c'è da uscire dalle sabbie mobili di una crisi che affonda nei mal di pancia dei rivoli democristiani.

La 'banchina' di Campi è una delle centinaia di casse rurali ed artigiane, le cosidette 'banche dei preti' sorte agli inizi del '900 per sostenere il credito ai ceti tenuti ai margini dell'economia e della società italiana. Nella sua lunga presidenza, dal 1990 al 2010, Verdini governa la banca sulla cresta dell'onda giocando sull'espansione edilizia (case e negozi) nella Piana fiorentina. In quegli anni Campi Bisenzio non è un comune qualsiasi e non ha personaggi qualsiasi nei punti cardine del comando e delle anime. C'è lui Denis Verdini, ma c'è anche un sindaco amato dalla sua gente, Adriano Chini che viene dal Pci, che promette al comune di diventare di più, di trasformarsi, di cambiare. Di farsi città e smettere i panni del paese. E poi nella vicina San Donnino c'è un prete di frontiera, don Giovanni Momigli, mandato dal cardinale Piovanelli a farsi missionario nelle periferia dove inizia a vedersi l'immigrazione cinese. Firenze sonnecchia, Prato va a mille senza globalizzazione e nel bel mezzo Campi emerge.

Verdini, come racconta lui stesso nei processi, spinge sul mondo delle costruzioni, quindi sui mutui casa ai privati e i prestiti al commercio che si amplia nelle periferie recependo i fiorentini in uscita dal capoluogo, alla ricerca di abitazioni a buon mercato. Ciò, fino alle operazioni degli anni 2000, tradite dal declino economico e da condotte tali da determinare un crac poi stimato in 100 milioni di euro. Gli amici di affari di Verdini sono due. Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei della impresa costruttrice pratese. Un sodalizio forte, fortissimo che si cementa nel tempo. Loro costruiscono, la banca di Verdini finanzia. Una potenza. Grandi appalti, non più solo le case da tirare su nella piana. Poi i sospetti, i problemi, i controlli di Banca d'Italia. E l'inizio della fine arriva proprio dopo i festeggiamenti del centenario della 'banchina' diventata Credito cooperativo fiorentino. Soldi e politica. Nei venti anni da presidente della 'banchina', Verdini diventa sempre più punto di riferimento del centrodestra grazie alla fiducia che Silvio Berlusconi gli concede.

Lui era nato repubblicano poi aveva avuto un flirt con la formazione di Mariotto Segni. Dà l'addio ai laici e si butta a capofitto in Forza Italia. Un piede a Roma, uno a Firenze. Non si muove foglia che Denis non voglia in Toscana. Sceglie candidati, battezza carriere folgoranti e taglia le gambe a qualche giovane azzurro che chiede più indipendenza. Tutto lui. E a Roma il Cavaliere gli dà il mazzo. Mescola Denis e dai le carte: così nel 2008 porta a casa la nascita del Popolo della Libertà mettendo insieme Forza Italia e Alleanza nazionale. Tesse e piazza i suoi uomini, media e trova intese pensate dalla fantapolitica come il Patto del Nazareno con il quale mette insieme Silvio Berlusconi e Matteo Renzi per cambiare la Costituzione e delineare l'Italia 2.0. Non va bene fino in fondo. Il patto salta. E' l'inizio della fine anche in politica. Verdini si rifugia nella creazione di Ala, Alleanza liberal popolare, formazione parlamentare come Napoleone a Sant'Elena. Il sipario sul grande palcoscenico della politica scende e si chiude. Ma non finisce la passione. Combatte nei processi ma le condanne si sommano e si confermano, trova sulla sua strada l'altro Matteo, Salvini, causa colpo di fulmine della figlia Francesca. Ma questa è un'altra storia anche se qualcuno lo vuole ancora immaginare regista di strategie e mosse del leader leghista. Da poche ore Verdini è nel carcere di Rebibbia. E chissà se salendo i gradini del carcere si sarà ricordato la scalinata di palazzo Madama a Torino sulla copertina del libro di Spadolini che teneva nella libreria della sua stanzona della 'banchina', sognando di essere uno degli uomini che avrebbero fatto l'Italia.